Acqua ad Aprilia: una storia infinita di corsi e ricorsi


Per suggellare il gemellaggio tra L’ALTRASCIACCA e gli amici del Comitato cittadino per l’acqua pubblica di Aprilia, vi proponiamo gli accadimenti che li hanno visti protagonisti in questi quattro anni di vita. Buona lettura!

Fatti e misfatti
Acqua ad Aprilia: una storia infinita di corsi e ricorsi

Nella operosa cittadina a sud del Lazio (Ato4) la privatizzazione dell’acqua e dei servizi idrici ha portato alla esasperazione la gente, ignara della tegola che le era caduta sulla testa: l’aumento delle bollette dal 50 fino al 330 per cento. La reazione è stata immediata: la costituzione di un comitato a tutela del bene più prezioso e la definizione, via via, di una strategia per opporsi a questa forma di sciacallaggio. La battaglia, fra alti e bassi, è stata dura e non è ancora finita. Ma la morale di tutta la storia è che l’unità e la partecipazione sono armi più efficaci di qualsiasi intimidazione, da qualsiasi parte essa venga
Alberto De Monaco

Era il 1 luglio 2004, come sempre la mattina tanti cittadini di Aprilia, aprivano il rubinetto per lavarsi e correre al lavoro. Era una giornata come tutte le altre, o almeno così sembrava. L’acqua era la stessa, fresca e bella. L’acqua che viene dai pozzi delle fonti del Carano che stanno poco lontano dal casale dove dimorò e visse il figlio di Giuseppe Garibaldi, Menotti Garibaldi.
Eppure qualcosa di molto importante era successo. L’euforia della gestione dei privati, che si dice siano capaci, efficienti ed economici, era scoppiata pure ad Aprilia: da quel giorno chi comandava e gestiva le nostre fonti ed i nostri rubinetti era la multinazionale Veolia; il comune non contava più nulla. L’acqua di Aprila, e di ben 38 comuni nell’ambito idrico della provincia di Latina veniva “comandata” da Parigi.

Tutto però scorreva liscio, nell’oblio dell’ignoranza, finché nel mese di dicembre un giovane di 23 anni, già impegnato in Attac, iniziò a sensibilizzare associazioni e comitati: la cessione del servizio idrico alla società Acqualatina spa (AQL è partecipata per il 51% dai 33 comuni della provincia di Latina e per il 49% dalla Veolia) si sarebbe risolta in un grave problema per la comunità. Ormai la frittata era fatta, ma ancora tutto sembrava calmo.

A febbraio 2005 l’allarme viene raccolto e un gruppo di cittadini costituisce il Comitato Cittadino Acqua Pubblica di Aprilia. Si avvia uno studio approfondito per capire come fosse avvenuta la cessione del servizio al gestore pressoché privato Acqualatina spa (AQL). La città, nonostante i primi allarmi del Comitato è ancora tranquilla, anzi scettica. Fino al maggio 2005, però, quando iniziano ad arrivare le prime fatture dell’acqua “privatizzata”. Sono dolori. Gli aumenti variano fra il 50% e il 330%. L’allarme diventa una brutta realtà, gli scettici di una volta si arrabbiano. Si susseguono manifestazioni e dibattiti cittadini. Nel frattempo il comitato si è organizzato, ha studiato tutti i passaggi che hanno portato alla cessione della gestione del servizio e delle reti idriche alla nuova società. Si capisce subito che tanti passaggi di legge che dovevano coinvolgere la popolazione ed il consiglio comunale sono stati saltati. La società, che avrebbe dovuto far conoscere le nuove regole contrattuali (tali regole sono poi state dichiarate vessatorie dal Tribunale), ha preferito invece inviare semplicemente la bolletta con la richiesta di pagamento entro un mese.

I cittadini si organizzano. Si decide la strategia: le bollette saranno pagate, ma i bollettini di versamento saranno intestati all’ente comunale che fino al 2004 gestiva le reti e l’acqua. Aderiscono alla strategia prima 500 famiglie, poi 1400, alla fine le famiglie sono 6500. D’altronde non si capiva e non si capisce perché nonostante tanti passaggi di legge siano stati saltati, gli unici ad avere obblighi e a doversene restare zitti siano i cittadini.
Naturalmente la società AQL reagisce e si rivolge alla magistratura. Da allora è un susseguirsi di cause nei tribunali amministrativi e civili il costo delle quali è sostenuto dagli stessi cittadini che si autotassano.

Un gruppo di consiglieri comunali nel febbraio 2006 riesce a far votare una delibera con la quale viene respinta e stigmatizzata la cessione del servizio al nuovo gestore. Altri comuni fanno la stessa cosa. I cittadini portano in causa la società e chiedono di annullare la partecipazione del comune alla compagine societaria di Acqualatina spa. La rivolta dei cittadini continua nel 2006, nel 2007 e nel 2008. Il gestore capisce che se le cose continuano così, l’oro blu non rende più e l’affare non conviene. Mette in atto quindi la “sua strategia”: cercare di fiaccare la “resistenza” chiudendo l’acqua a chi continua a pagarla al comune anziché alla la nuova società che non vuole riconoscere. Le maniere diventano sempre più “convincenti”: per eseguire i distacchi le squadre degli operai della società si presentano scortate da vigilantes armati al seguito.

La popolazione è avvilita e stanca. Tuttavia non demorde. Le famiglie che Acqualatina spa continua a chiamare “morose” sono 6500. La società dovrà “catturarle” una per una, e non è facile.
Intanto la politica degli interessi, ovvero i pubblici amministratori che con il privato si dividono le poltrone del Consiglio d’Amministrazione della società – un Cda che dal 2003 AL 2008, solo in remunerazione per i consiglieri, è costato circa 3MILIONI890MILA euro l’anno (CIRCA 2 MILIONI PER CONSIGLIERI PRIVATI + 1,9 MILIONI X CONSIGLIERI PUBBLICI) -, si organizza. Mentre i comuni ed i cittadini fanno i ricorsi in tribunale, chi “detta” le regole al gestore, preferisce essere morbido e assecondare gli interessi del privato. Come? Cambiando e ricambiando il contratto di servizio e modificando, riducendoli via via, gli obblighi che il privato si era impegnato a rispettare vincendo il bando di gara nel 2002. La gestione del servizio, fanno sapere dalla società, è sempre più costosa. Come si sa il privato è capace (forse!) ma i costi sono alti, altissimi. La cifra che il gestore incassa con le bollette dai circa 450.000 utenti non basta. Il privato non intende rimetterci, e, visto che nel contratto aveva fatto inserire un articolo per cui i comuni devono assicurare il pareggio dei costi (sempre), non si perde d’animo: dal 2004 al 2014 gli aumenti delle bollette saranno del 5% ogni anno.
Però i soldi è adesso che mancano ed allora, invece di finanziare con il proprio capitale, la società decide che è meglio farseli prestare dai mercati finanziari internazionali. Meglio, mette su un mutuo con i prodotti derivati. Nel 2006 la Depfa Bank (letteralmente la banca dell’ipoteca) arriva in soccorso. Concede un prestito tampone di 35 milioni ed è pronta a fare un mutuo per 114,5 milioni. Un mutuo con tanto di swap, che sono prodotti finanziari complessi scambiati sui mercati internazionali. È la stessa Depfa Bank, che ha portato al tracollo la banca tedesca Hypo Real Estate, che il governo tedesco deve salvare dal fallimento con 50 miliardi di euro di soldi pubblici.

A questo punto i mercati crollano e le cose si complicano pure per il mutuo che Depfa ha promesso di erogare ad Acqualatina.

Siamo a dicembre 2008. La banca non cederà ulteriori crediti se prima i comuni non firmeranno un accordo che vincola ogni decisione sulle bollette e sul contratto di gestione al “preventivo consenso scritto” della banca. Più privato di così si muore. Fatto ciò i sindaci che hanno il compito e il dovere di tutelare gli interessi delle comunità che li hanno eletti, non avranno più nessun potere. La banca deciderà come e cosa fare solo in funzione della possibilità di far rientrare, con i dovuti interessi, i soldi prestati. Se c’è siccità poco importa. Se l’acqua scarseggia e i consumi diminuiscono poco importa. Se i costi per portare l’acqua nelle case saranno alti, non sarà possibile fare nuove né condotte né nuovi depuratori. Insomma, innanzi tutto c’è la garanzia che il prestito sia onorato, ogni 6 mesi, e poi viene tutto il resto, sete e igiene pubblica incluse. È la legge degli affari. I lucrosi affari sull’acqua. Un bene pubblico e comune a cui nessuno può rinunciare.

Eppure, un bene così essenziale da essere legato alla vita delle persone viene gestito in un sistema monopolista: nei 38 comuni di Latina chi vuole bere si può rivolgere solo ad Acqualatina spa, o meglio alla Depfa Bank. Ormai l’affare è assicurato e redditizio. Ai morosi ci penserà la banca, poiché tutti i crediti di Acqualatina sono stati ceduti alla Depfa. Una decisione che è stata presa ancora una volta contro la popolazione da chi nella amministrazione e in politica avrebbe dovuto tutelare i cittadini, e invece ha preferito andare a braccetto con Veolia.

Stando così le cose, allora, che senso avrà per i cittadini di Aprilia andare nel 2009 a votare per il nuovo sindaco? L’acqua di Aprilia è il problema di Aprilia, come lo è di tutti i comuni che hanno a cuore il bene della loro cittadinanza. Ma con questi vincoli il nuovo sindaco, chiunque esso sia, non avrà più nessun potere sull’acqua della città, che sarà invece gestita da una multinazionale di Parigi, con i soldi di una banca irlandese in fallimento.

Può la mondializzazione della finanza e dell’economia far liquefare le comunità?

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