IL TOTALITARISMO MEDIATICO, OVVERO IL MARKETING DEL POTERE


Vi proponiamo una riflessione del nostro socio Francesco Ferrara su una nuova attualissima forma di totalitarismo basata sul potere mediatico. Buona lettura:

La pubblicità si rivela tanto più efficace quanto più riesce a fare in modo che gli interessi del produttore diventino necessità dell’acquirente.

Quando si sostiene che l’uomo non impara nulla dalla storia, si afferma, in realtà, solo una mezza verità. È, infatti, corretto affermare che nella maggior parte dei casi l’uomo comune non trae insegnamento dalla storia perché non la conosce abbastanza o perché, pressato dallo stato di necessità o spinto dal desiderio di essere protagonista degli eventi, sceglie più o meno consapevolmente di ripetere le stesse esperienze di chi lo ha preceduto, con la convinzione o solo la speranza di non incappare nei suoi stessi errori. Ma è altrettanto vero che chi detiene il potere e vuole mantenerlo in maniera salda e stabile non può prescindere da una profonda e accurata conoscenza del passato, conoscenza che, unita allo sfruttamento delle conoscenze frutto del progresso scientifico e tecnologico, gli consenta di evitare di incappare negli stessi errori commessi da chi lo ha preceduto.

I totalitarismi del passato in questo caso sono illuminanti. Hanno insegnato che il mantenimento del potere attraverso l’utilizzo di mezzi coercitivi o attraverso il ricorso alla violenza, oltre a dover fare i conti con un dissenso crescente e pressoché inevitabile, ha un ciclo vitale più o meno lungo, ma comunque limitato nel tempo. Ciclo vitale che dipende dalla capacità della collettività di sopportare uno stato di privazione più o meno intenso di quelli che oggi vengono considerati libertà e diritti fondamentali dell’essere umano. La libertà di espressione e quella di autodeterminazione, in primo luogo.
Tale capacità di sopportazione si presenta, ovviamente, variabile in base a parametri quali il livello culturale, il livello di consapevolezza e la disponibilità di strumenti di contrasto da parte della collettività, ma non è comunque inesauribile.
Ne consegue che il ricorso alla coercizione o alla violenza risulta, alla lunga, controproducente per il mantenimento del potere, giacché tali modalità incontrano, tra l’altro, un non trascurabile limite strutturale nel fatto che chi detiene il potere politico generalmente rappresenta una esigua minoranza rispetto al totale di coloro che compongono la collettività su cui tale potere politico viene esercitato.

Pertanto, affinché una minoranza detentrice del potere politico possa continuare a detenerlo, in un contesto istituzionale formalmente libero e democratico, e senza ricorrere a mezzi coercitivi o all’uso della violenza – che come abbiamo visto risultano disfunzionali al mantenimento dello stesso -, è necessario che segua una delle due seguenti strade:
1) Che essa si faccia portavoce e dia delle risposte concrete ai problemi e alle necessità impellenti della collettività.
2) Che essa si faccia portavoce e dia delle risposte concrete a ciò che l’opinione pubblica, opportunamente e capillarmente orientata, percepisce come problemi o necessità impellenti della collettività.
Quest’ultima alternativa, che delle due è certamente la più funzionale a un utilizzo personalistico e autoreferenziale del potere pubblico, presuppone, preliminarmente, al fine di evitare resistenze da parte della collettività, l’annullamento o, più realisticamente, almeno un consistente indebolimento della coscienza critica collettiva.
Se per fare ciò si vuole seguire, come è auspicabile in quanto più agevole e vantaggioso, un percorso quanto più possibile incruento, e si vuole limitare al massimo l’uso di strumenti coercitivi, che alla lunga si rivelerebbero controproducenti per il mantenimento di quel potere politico che si mira a conservare, la migliore strada percorribile è quella di servirsi di strumenti mediatici dotati di una diffusione capillare, di una forte autorevolezza o che, per lo meno, godano di credito da parte di ampie fasce della collettività.
Condizione indispensabile è poi la detenzione, da parte della minoranza al potere, di una posizione di controllo sostanzialmente monopolistica su tali strumenti mediatici. Non è, infatti, indispensabile e nemmeno funzionale che tale posizione sia anche formalmente o legalmente monopolistica, dal momento che una tale situazione finirebbe col minare la credibilità dello strumento mediatico – credibilità che deriva proprio dalla sua formale libertà e indipendenza dal potere politico – spianando concretamente la strada, come sovente accade nei regimi totalitari, al ricorso clandestino a fonti informative o a strumenti mediatici alternativi e illegali destinati gradualmente ad acquisire, presso la collettività, maggiore autorevolezza e credibilità rispetto a quelli ufficiali.
Al contrario, può e deve essere tollerata, in quanto funzionale al mantenimento di un contesto formalmente libero e democratico che eviti il costituirsi presso la popolazione di sacche di resistenza potenzialmente destabilizzanti per il potere politico, la presenza di strumenti mediatici alternativi, a condizione, però, che questi abbiano, di fatto, una accessibilità limitata, una diffusione scarsa o comunque fortemente minoritaria e che, in ogni caso, non godano di molto credito presso la collettività.
Obiettivo, quest’ultimo, che comporta la graduale marginalizzazione degli stessi, da perseguirsi mediante azioni volte a ridurre concretamente, ma non formalmente, la loro possibilità di esercitare un’effettiva influenza sulla popolazione e, se necessario, anche mediante il loro screditamento sistematico e autorevole operato attraverso l’utilizzo mirato degli strumenti mediatici predominanti.

Infatti, affinché la collettività non avverta la necessità di rivolgersi a strumenti mediatici o a fonti informative aventi carattere alternativo, è necessario che sussistano due condizioni: in primo luogo è necessario che l’informazione sia percepita dall’opinione pubblica come prevalentemente libera e imparziale, priva di censure o condizionamenti; in secondo luogo è necessario che l’informazione fornita all’opinione pubblica attraverso le varie fonti informative sia sostanzialmente uniforme nei contenuti, poiché è tale uniformità, unita alla percezione di una sostanziale libertà informativa, a conferire all’informazione stessa quei caratteri di attendibilità, autorevolezza e ufficialità che ne rafforzano l’efficacia e il potere di orientamento della coscienza collettiva, riducendo, conseguentemente, il rischio che la collettività avverta il bisogno di attingere a fonti informative alternative.
Tali condizioni sortiscono, poi, una efficacia ancor più rilevante se la collettività si trova anche sprovvista dei mezzi, culturali e/o materiali, che le consentano di avere accesso a fonti informative alternative o che la mettano nelle condizioni di percepire l’utilità che l’accesso a tali fonti comporterebbe. Da qui, la necessità di porre in essere misure tendenti a uniformare verso il basso il livello culturale medio della collettività.

In passato, e in alcune società culturalmente poco evolute del mondo contemporaneo, lo strumento mediatico dotato dei succitati caratteri di capillare diffusione, forte autorevolezza e credito presso ampie fasce della popolazione erano le istituzioni religiose, alla cui influenza, esercitata attraverso la predicazione, l’educazione e l’indottrinamento – che spesso rappresentavano, in particolare per le fasce più basse della popolazione, gli unici strumenti conoscitivi e informativi -, erano soggetti gli appartenenti a tutti gli strati sociali.
Nella società contemporanea, lo strumento mediatico che presenta tali caratteristiche è, invece, quello televisivo. Il suo carattere informativo e soprattutto ricreativo, e il suo potere di dar vita a valori e modelli di riferimento per la società, uniti alla sua sostanziale accessibilità da parte di ampie fasce della popolazione, lo hanno reso, infatti, lo strumento mediatico di gran lunga più diffuso e più autorevole. Uno strumento capace, più di ogni altro, di orientare i gusti e le opinioni della collettività.
In più, nella società italiana, un peculiare elemento di anomalia, rappresentato dal controllo largamente maggioritario esercitato su tale strumento mediatico da parte della minoranza detentrice del potere politico, ha consentito ad essa di conseguire, in un contesto formalmente libero e pluralista, quella posizione sostanzialmente monopolistica che rappresenta il requisito indispensabile affinché tale strumento mediatico sia concretamente in grado di orientare l’opinione pubblica nella direzione desiderata, in maniera realmente efficace e capillare.

In questo modo si è pervenuti a una situazione palesemente paradossale: quella della scissione tra le necessità reali della collettività e le necessità (erroneamente) percepite dall’opinione pubblica come tali, con una predominanza delle seconde sulle prime.
Un esempio emblematico di tale situazione è dato dalla constatazione che, sebbene le emergenze più impellenti e generalizzate che nell’attuale momento storico attanagliano la società italiana siano di carattere economico e occupazionale, uno dei problemi principali percepiti dall’opinione pubblica, nonostante la sua scarsa rilevanza statistica, è quello della sicurezza. Ossia, uno degli elementi su cui una élite che detiene il potere politico e intende mantenerlo deve fare leva, sia per giustificare una sua più incisiva intromissione nella sfera privata dei cittadini attraverso il ricorso alle forze di polizia (alle quali, in tal modo, viene in realtà affidata una fondamentale funzione di contrasto preventivo e repressione del dissenso), sia per focalizzare in maniera coesa verso ipotetiche e inconsistenti minacce esterne – è il caso, ad esempio, dell’immigrazione – l’eventuale malcontento dell’opinione pubblica, malcontento che, se fosse rivolto nei confronti dei detentori del potere politico, potrebbe avere per il sistema effetti pericolosamente destabilizzanti.

L’erronea percezione a cui si è fatto cenno si verifica sebbene nella realtà dei fatti solo una percentuale esigua della popolazione, specie se paragonata alle ampie fasce della società colpite da problemi di carattere economico e occupazionale, sia effettivamente vittima di reati di criminalità comune. Reati a cui i mezzi d’informazione televisiva

riservano, però, con costanza ed enfasi, un ampio spazio, amplificandone le proporzioni reali, e svolgendo in tal modo un’efficace opera di orientamento dell’opinione pubblica attraverso l’utilizzo mirato del mezzo televisivo.
Mediante il ricorso a tale espediente, pertanto, la minoranza che detiene il potere pubblico ha la possibilità di servirsi di tale potere in maniera essenzialmente personalistica e autoreferenziale senza imbattersi in particolari resistenze da parte della collettività. Ma, soprattutto, ha la possibilità di conservarlo in maniera sostanzialmente stabile e incruenta, continuando, anzi, a godere presso l’opinione pubblica di ampio consenso, semplicemente suscitando in quest’ultima, mediante il ricorso a un orientamento mediatico opportunamente mirato, l’erronea convinzione che le necessità e le emergenze percepite (che in realtà spesso sono soltanto la giustificazione ufficiale di obiettivi politici occulti aventi carattere personalistico e autoreferenziale) siano anche le necessità e le emergenze reali della collettività.

In questo senso, i sondaggi a cui frequentemente ricorrono i detentori del potere per consultare l’opinione pubblica, e dei quali in tempi recenti si è avuta una notevole impennata, non hanno, presumibilmente, la finalità ultima di conoscere le reali necessità della collettività, bensì quella strumentale di verificare il livello di efficacia dell’opera di orientamento dell’opinione pubblica perpetrata mediante l’utilizzo degli strumenti mediatici, per poter poi valutare, con accortezza e in modo tale da non intaccare il proprio consenso, i tempi di attuazione degli obiettivi politici funzionali alla conservazione del potere pubblico detenuto.
E nella stessa direzione vanno, probabilmente, anche le dichiarazioni programmatiche provocatorie fatte da chi detiene il potere pubblico, prontamente seguite, in caso di reazioni critiche da parte dell’opinione pubblica, da smentite o da accuse di fraintendimenti o di deliberato travisamento dei fatti mosse nei confronti degli organi di stampa, sia nazionali che esteri, accusati di essere strumenti propagandistici asserviti alla parte politica avversa.
Quello descritto sopra è un meccanismo tecnicamente perfetto, perché sostanzialmente immune da livelli consistenti di dissenso. Ma è anche un processo ciclico virtualmente inarrestabile, perché in grado di autoriprodursi, quasi senza difficoltà, in maniera potenzialmente illimitata.

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.