Acqua, inefficienti anche i privati.


da QdS.it (articolo pubblicato il 18 Dicembre 2010)

di Rosario Battiato

L’oro blu. La gestione idrica nell’Isola non decolla.

La relazione. La spesa dei fondi Ue per alcuni impianti idrici in Sicilia non è stata efficiente: in generale si è speso troppo e male. E’ quanto dice la Corte dei Conti Ue sulle infrastrutture per l’approvvigionamento.

Lo stato. L’avvento dei privati nella gestione non ha dato finora i risultati sperati. Molta acqua viene persa o non è neanche prelevata, la situazione è migliorata solo in pochi casi, servono ingenti investimenti.

PALERMO – Pubblico o privato? Due posizioni che in Sicilia hanno ottenuto risultati sinora insoddisfacenti.
Il settore pubblico che per anni ha permesso una disastrosa gestione delle risorse infrastrutturali, o la loro lacunosa costruzione, ha subìto un parziale avvicendamento con la partecipazione privata nella gestione dell’acqua delle province isolane. Anche in questo caso, tra la golosità dei finanziamenti pubblici, l’aumento delle tariffe e la poca celerità degli interlocutori pubblici, la situazione è precipitata.
Risultato? La Sicilia non esce dal tunnel, anzi si impantana in una situazione sempre più complicata.
Tutto questo mentre la Corte dei Conti Ue dice che per le infrastrutture utili all’approvvigionamento idrico, tra il 2000 e il 2006, in Sicilia sono stati spesi troppi fondi comunitari e per giunta in malo modo.

La gestione delle acque isolane naviga all’interno di un mercato segmentato e complesso. Prima di un iniziale riordino del sistema esistevano ben 424 fra municipalizzate,L’oro blu enti e consorzi solo nell’Isola. Tuttavia l’apertura ad investitori privati, quasi un lustro fa, non ha dato i risultati sperati perché l’Isola continua a restare cristallizzata in una logica viziata da investimenti a singhiozzo e fatiscenza delle infrastrutture. Pertanto, non stupisce se gli ultimi dati 2009, arrivati direttamente dal Censis, fotografano un servizio ridotto ai minimi termini a fronte, invece, di un costo che continua ad avvicinarsi ai grandi centri del nord. La gestione del servizio idrico siciliano, la cui privatizzazione è richiesta dalla normativa europea e dalla Legge Galli del 1994, recepita in Sicilia soltanto con la legge regionale 10/1999, poi ulteriormente confermata dal decreto Ronchi del 2009, resta intrappolato in un sistema asfittico di investimenti e in un mare magnum di interessi.

La Sicilia continua ad avere i suoi piccoli record. L’ultimo rapporto della Conviri (Commissione Nazionale di Vigilanza sulle Risorse Idriche), riferito all’anno 2009, ha certificato come delle 6 società affidatarie ben 5 siano private, a fronte di una totale nazionale pari a 7. L’Istituto Bruno Leoni definisce la regione insulare come un tipico “case study” per la sua estraneità al sistema Italia. La presenza così evidente di società private, prima dell’effettiva privatizzazione del sistema, lascia intendere la possibilità di un accordo di queste ultime con l’autorità pubblica sulla base della maggiore necessità di investimenti (sulle reti isolane pioveranno nei prossimi trent’anni qualcosa come 2,76 miliardi di euro), in cambio di alcune modifiche tra cui le tariffe (ben al di sotto della media europea e italiana) che “andranno aumentate – si legge in uno studio di Luciano Lavecchia e Carlo Stagnaro pubblicato dall’Istituto Bruno Leoni – per contribuire al finanziamento, secondo una formula di price cap, determinata a livello di singolo Ato”.

Tra Nord e Sud la prevalenza di società interamente a capitale pubblico oscilla tra il 52 e il 48%, oppure si trovano società in house, società miste a capitale pubblico privato, società quotate, mentre le società  private individuate tramite gara sono una peculiarità tutta isolana. Non che in assoluto valga l’equazione privato-male e pubblico-bene – lo testimonia la devastazione del sistema infrastrutturale siciliano affidato negli ultimi decenni a celebri carrozzoni pubblici come l’Eas (Ente acquedotti siciliano) – ma in Sicilia bisogna sempre fare i conti con le deviazioni dell’ovvio. Infatti, neanche il privato ha rimesso in piedi il sistema. Il problema, denunciato dagli addetti ai lavori, sono le tariffe ancora troppo basse nei comuni siciliani – anche se a Palermo, Catania e Messina, sono comunque più alte di Milano, Napoli, Roma e Venezia – e una serie di difficoltà di vario genere che non hanno permesso adeguati interventi.

L’Aps a Palermo, Acque Potabili Siciliane, in liquidazione dal luglio scorso, secondo i dati diffusi al 2009 dal suo amministratore delegato dell’epoca Lorenzo Serra, aveva effettuato interventi in 53 comuni, nei quali in 23 si era ridotta la turnazione, in 12 comuni adesso l’acqua erogata è diventata h24, mentre in 18 comuni si è ancora all’anno zero. Il problema siciliano è proprio questo: gli interventi necessari non sono di adeguamento, ma in alcuni casi bisogna proprio ripartire dal principio.

La Conviri, per la sua relazione annuale, ha potuto ottenere i risultati parziali derivati dagli esiti degli investimenti. La prima anomalia riguarda il fatto che solamente Caltanissetta ed Enna hanno ritenuto di comunicare i dati alla Commissione, operazione che invece dovrebbe essere effettuata da tutte le province in riferimento ai loro ambiti. Ad ogni modo questa visione parziale permette ugualmente di inquadrare i risultati ottenuti in queste due realtà come cartina tornasole dell’intera Sicilia. Il tasso di realizzazione degli investimenti rispetto a quelli previsti al lordo dei contributi a fondo perduto è pari al 12% ad Enna e ed all’1% a Caltanissetta a fronte di una media nazionale del 56%.

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