Referendum costituzionale. Le ragioni del NO spiegate dal Prof. Pasquino oggi a Sciacca


riforma-costituzione-1300x680

Il professore emerito di Scienza Politica Gianfranco Pasquino spiegherà le buone ragioni per votare NO al prossimo referendum costituzionale di fine anno. L’incontro, organizzato dal Comitato per il NO, è fissato per questa sera a Sciacca, presso il Multisala Badia Grande in Piazza Gerardo Noceto, alle ore 19:00.

le-buone-ragioni-del-no-gianfranco-pasquino

Un’altra Costituzione è possibile. (*)

Di seguito riportiamo le 10 ragioni per chi, secondo il professor Pasquino, vuole riforme ragionate e non “plebiscitate”.

Noi crediamo profondamente in una democrazia così intesa, e noi ci batteremo per questa democrazia. Ma se altri gruppi avvalendosi, come dicevo in principio, di esigue ed effimere maggioranze, volessero far trionfare dei principi di parte, volessero darci una Costituzione che non rispecchiasse quella che è la profonda aspirazione della grande maggioranza degli italiani, che amano come noi la libertà e come noi amano la giustizia sociale, se volessero fare una Costituzione che fosse in un certo qual modo una Costituzione di parte, allora avrete scritto sulla sabbia la vostra Costituzione ed il vento disperderà la vostra inutile fatica.” (Lelio Basso, 6 marzo 1947, in Assemblea Costituente)

  1. Il NO non significa immobilismo costituzionale. Non significa opposizione a qualsiasi riforma della Costituzione che, anche se non è la più bella mondo, sicuramente è una ottima Costituzione. È durata settant’anni. Ha obbligato con successo tutti gli attori politici a rispettarla. Ha fatto cambiare sia i comunisti sia i fascisti. Ha resistito alle scomposte e disorganiche spallate berlusconiane. Ha accompagnato la crescita dell’Italia da paese sconfitto, povero e semi-analfabeta a una delle otto potenze industriali del mondo. Non pochi esponenti del NO hanno combattuto molte battaglie riformiste e alcune le hanno vinte (legge elettorale, legge sui sindaci, abolizione di ministeri, eliminazione del finanziamento statale dei partiti). Non pochi esponenti del NO desiderano riforme migliori e le hanno ripetutamente formulate. Le riforme del governo sono sbagliate nel metodo e nel merito. Non è necessario fare riforme condivise se si ha un progetto democratico e lo si argomenta in Parlamento e agli elettori. Non si debbono, però, fare riforme con accordi sottobanco, approvate con poco più del 55% dei voti, presentate come ultima spiaggia, imposte con ricatti, confuse e pasticciate, simili a quelle fatte dal governo Berlusconi nel 2005 e respinte con referendum dal centro-sinistra. Noi non abbiamo cambiato idea. Riforme migliori sono possibili. Il metodo da spavaldi rottamatori istituzionali ha inquinato tutto il procedimento riformatore e travolto quel patto costituzionale nel quale tutti i cittadini italiani avevano imparato a riconoscersi.
  2. NO, non è vero che la riforma del Senato nasce dalla necessità di velocizzare il procedimento di approvazione delle leggi. La riforma del Senato nasce perché la legge elettorale detta PorceIlum ha prodotto per ben due volte un Senato ingovernabile. Era sufficiente cambiare in meglio, non in un porcellinum, la legge elettorale. Il bicameralismo italiano ha sempre prodotto molte leggi, più dei bicameralismi differenziati di Germania e Gran Bretagna, più della Francia semipresidenziale e della Svezia monocamerale. Praticamente tutti i governi italiani sono sempre riusciti ad avere le leggi che volevano e, quando le loro maggioranze erano inquiete, divise e litigiose e i loro disegni di legge erano importanti e facevano parte dell’attuazione del programma di governo, ne ottenevano regolarmente l’approvazione in tempi brevi. NO, non è vero che il Senato era responsabile dei ritardi e delle lungaggini. Nessuno ha saputo portare esempi concreti a conferma di questa accusa perché non esistono. Napolitano, deputato di lungo corso, Presidente della Camera e poi Senatore a vita, dovrebbe saperlo meglio di altri. Piuttosto, il luogo dell’intoppo era proprio la Camera dei deputati. Ritardi e lungaggini continueranno sia per le doppie letture eventuali sia per le prevedibili confusioni e tensioni fra Senatori che vorranno affermare il loro ruolo e la loro rilevanza e Deputati che vorranno imporre il loro volere di rappresentanti eletti dal popolo. No, non è vero che gli esponenti del NO sono favorevoli al mantenimento del bicameralismo. Anzi, alcuni vorrebbero l’abolizione del Senato, quindi il passaggio, chiaro e limpido, al monocaneralismo; altri ne vorrebbero una trasformazione profonda. La strada giusta era quella del modello Bundesrat non quella del modello misto francese o simil-austriaco (che hanno dimostrato di funzionare male) peggiorato dalla assurda aggiunta di cinque Senatori nominati dal Presidente della Repubblica (immaginiamo per presunti difficilmente accertabili meriti autonomisti, regionalisti, federalisti). Ai cittadini italiani non è ancora dato conoscere, nel concreto, quale tipo di Senato salterà fuori da una riforma incerta, che rimanda a successive leggi ordinarie o regolamenti attuativi materie fondamentali che riguardano la sua natura e, soprattutto, la sua definitiva composizione. Il governo pretende una sorta di voto in bianco su un Senato immaginario che è un salto nel vuoto. Per di più e del tutto inopinatamente, a 100 Senatori variamente designati, nessuno eletto, si attribuisce addirittura il compito di eleggere due giudici costituzionali, mentre 630 Deputati ne eleggeranno tre. È uno squilibrio istituzionale intollerabile.
  3. NO, non è vero che è tutto da buttare. Alcuni di noi hanno proposto da tempo l’abolizione del CNEL. Questa abolizione dovrebbe essere spacchettata per consentire agli italiani di non fare, né a favore del SÌ né a favore del NO, di tutta l’erba un fascio. Però no, non si può chiedere agli italiani di votare in blocco tutta la brutta riforma soltanto per eliminare il CNEL o abolire definitivamente le province. Alcune parte della riforma costituzionale si “tengono” assieme, mentre altre possono essere tempestivamente spacchettate e presentate omogeneamente agli elettori, che così potranno esprimersi sul merito degli interventi alla Costituzione, senza doversi trovare di fronte all’alternativa netta tra prendere o lasciare un pacchetto di modifiche costituzionali incerte e inconcludenti.
  4. Alcuni di noi sono stati attivissimi referendari. Non se ne pentono anche perché possono rivendicare successi di qualche importanza. Abbiamo da tempo proposto una migliore regolamentazione dei referendum abrogativi e l’introduzione di nuovi tipi di referendum e di nuove modalità di partecipazione dei cittadini. La riforma del governo recepisce poco o nulla di tutta questa vasta elaborazione. Si limita a piccoli palliativi, talvolta peggiorativi o restrittivi, rispetto alla situazione attuale. NO, la riforma non è affatto interessata a predisporre canali e meccanismi per una più ampia e intensa partecipazione degli italiani tutti (anzi, abbiamo dovuto registrare con sconforto l’appello del Presidente del Consiglio all’astensione nel referendum sulle trivellazioni), ma in particolare di quelli più interessati alla politica.
  5. NO, non è credibile che con la cattiva trasformazione del Senato, il governo sarà più forte e funzionerà meglio non dovendo ricevere la fiducia dei Senatori e confrontarsi con loro. Piuttosto, sarà più difficile per tutti correggere gli errori legislativi. Per la maggioranza dei disegni di legge, non ci sarà nessuna seconda lettura, nessuna possibilità di fecondi ripensamenti. NO, il fumoso processo legislativo che emergerà dalla riforma, reso ancor più complicato da una suddivisione per materia tra le due Camere che ha già dato prova di non funzionare in passato, non trasformerà l’Italia in una democrazia decidente. Piuttosto, avremo una democrazia non-decidente e appena decente, indecisa sulle attribuzioni legislative, piena di ricorsi alle Corte costituzionale e incapace di adottare ampie e coerenti politiche pubbliche. Il governo finirà per accentuare le sue propensioni alla decretazione per procurata urgenza. Impedirà con ripetute richieste di voti di fiducia persino ai suoi parlamentari di dissentire. Decreti e fiducia dovevano, debbono costituire l’oggetto di riforme per un buongoverno. Purtroppo, l’Italicum non selezionerà una classe politica migliore, ma consentirà ai capi dei partiti di premiare la fedeltà che non fa quasi mai rima con capacità.
  6. NO, la riforma non interviene affatto sul governo e sulle cause della sua presunta debolezza. Non tenta neppure minimamente di affrontare il problema di un eventuale cambiamento della forma di governo. Tardivi e impreparati commentatori hanno scoperto che il voto di sfiducia costruttivo esistente in Germania e importato dai Costituenti spagnoli è un potente strumento di stabilizzazione dei governi, anzi, dei loro capi. Hanno dimenticato di dire che: 1) è un deterrente contro i produttori di crisi governative per interessi partigiani o personali (per intenderci: non sarebbe stato facile sostituire Letta con Renzi se fosse esistito il voto di sfiducia costruttivo); 2) si accompagna a sistemi elettorali proporzionali non a sistemi elettorali, come l’Italicum, che insediano al governo il capo del partito che ha ottenuto più voti ed è stato ingrassato di seggi grazie al premio di maggioranza.
  7. I sostenitori del NO vogliono sottolineare che la riforma costituzionale va letta, analizzata e bocciata insieme alla riforma del sistema elettorale. Infatti, l’Italicum squilibra tutto il sistema politico a favore del capo del governo. Toglie al Presidente della Repubblica il potere reale (non quello formale) di nominare il Presidente del Consiglio. Gli toglie anche, con buona pace di Scalfaro e di Napolitano che ne fecero uso ampio ed efficace, il potere di non sciogliere il Parlamento, ovvero la Camera dei deputati, nella quale sarà la maggioranza di governo, ovvero il suo capo, a stabilire se, quando e come sciogliersi e comunicarlo al Presidente della Repubblica.
  8. NO, quello che è stato malamente chiesto non è un referendum confermativo (aggettivo che non esiste da nessuna parte nella Costituzione italiana), ma un plebiscito sulla persona del capo del governo. Fin dall’inizio il capo del governo ha usato la clava delle riforme come strumento di una legittimazione elettorale di cui non dispone e di cui, dovrebbe sapere, neppure ha bisogno. Nelle democrazie parlamentari la legittimazione di ciascuno e di tutti i governi arriva dal voto di fiducia (o dal rapporto di fiducia) del Parlamento e se ne va formalmente o informalmente con la perdita di quella fiducia. Il capo del governo ha rilanciato. Vuole più della fiducia. Vuole l’acclamazione del popolo. Ci “ha messo la faccia” (noi ci mettiamo la testa: le nostre accertabili competenze, la nostra biografia personale e professionale, se del caso, anche l’esperienza che viene con l’età ben vissuta) sul referendum costituzionale (che doveva lasciare chiedere agli oppositori). Il referendum va dunque definito oppositivo: si oppone alle riforme fatte, le vuole vanificare. Lo ha trasformato in un malposto giudizio sulla sua persona. Ne ha fatto un plebiscito accompagnato dal ricatto: “se perdo me ne vado”.
  9. Le riforme costituzionali sono più importanti di qualsiasi governo. Durano di più. Se abborracciate senza visione, sono difficili da cambiare. Sono regole del gioco che influenzano tutti gli attori, generazioni di attori. Caduto un governo se ne fa un altro. Soltanto chi ha poca fiducia nell’Italia e negli italiani può pensare che questa sia l’ultima chiamata per chi intende rendere il nostro sistema politico più forte e meglio governabile. La grande flessibilità e duttilità delle democrazie parlamentari non trasforma mai una crisi politica in una crisi istituzionale. Riforme costituzionali mal fatte e squilibratrici sono sempre l’anticamera di possibili distorsioni e stravolgimenti istituzionali. Il ricatto plebiscitario del Presidente del Consiglio va, molto serenamente e molto pacatamente, respinto.
  10. Quello che sta passando non è affatto l’ultimo treno delle riforme. Molti, purtroppo non tutti, hanno imparato qualcosa in corso d’opera. Non è difficile fare nuovamente approvare l’abolizione del CNEL o delle province, e lo si può fare rapidamente. Non è difficile ritornare sulla riforma del Senato e abolirlo del tutto (ma allora andrà prestata enorme attenzione alla legge elettorale) oppure trasformarlo in Bundesrat, una seconda camera realmente capace di rappresentare le autonomie territoriali. Altre riforme verranno e hanno alte probabilità di essere preferibili e di gran lunga migliori del pasticciaccio brutto renzian-boschiano. NO, non ci sono riformatori da una parte e immobilisti dall’altra. Ci sono cattivi riformatori da supermercatino delle pulci, da una parte, e progettatori consapevoli e sistemici, dall’altra. Il NO chiude la porta ai primi; la spalanca ai secondi e alle loro proposte da tempo scritte e disponibili.

(*) Fonte: www.possibile.com

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.