L’Assemblea Regionale in Sicilia costa 35 Euro per abitante, in Lombardia 8 Euro


Privilegi e stipendi a Palazzo dei Normanni

14 giugno 2012

Per tenere in piedi l’Assemblea regionale siciliana ogni siciliano, appena nato, spende 35 euro all’anno. Non è una gran cifra se si ricordano le bollette della luce, gas, acqua, Tarsu ed altro ancora, ma è insopportabile se questo investimento invece che erogare un servizio – l’attività parlamentare – rende la vita degli isolani più difficile di quanto non lo sia. Che l’acqua, il gas, l’energia elettrica si debbano pagare nessuno lo mette in dubbio e nessuno, perciò, se ne lamenta, ma quei 35 euro vengono vissuti come un “insulto”, non solo dai demagoghi in servizio permanente e dai monopolisti della morale pubblica – che non dismettono di distribuire pillole di saggezza – ma anche da comuni cittadini che pure hanno in gran conto le istituzioni democratiche e l’autonomia siciliana.

Perché mai i lombardi spendono otto euro, ed i siciliani quattro volte e mezzo di più per il loro Consiglio regionale? Le risposte che gli addetti ai lavori regalano sono legate alla specialità siciliana. I siciliani hanno il Parlamento regionale e non un Consiglio, di conseguenza onori ed oneri. Una spiegazione buona per gli allocchi, perché lo Statuto della Regione siciliana non ha nulla a che vedere con i costi, anzi – permettendo alla Sicilia di decidere con maggiore libertà in linea di principio potrebbe aggiustare i conti con più facilità e dare lezione di morigeratezza e buona amministrazione.

Lo Stato, nell’accezione comune, è servito per distribuire privilegi alla casta. Una considerazione che equivale ad una pietra tombale per l’autonomia, che è una cosa seria, e per le istituzioni democratiche, perché mette in campo un’equazione intollerabile, che la partecipazione del popolo alle decisioni che lo riguardano non è conveniente, fa spendere un sacco di soldi e quindi è meglio pagare solo l’acqua, la luce e la nettezza urbana.

I costi del Parlamento regionale lievitano sin dal primo giorno perché la pensata iniziale – considerare l’Assemblea siciliana come la terza Camera del Paese – ha aperto un rubinetto dal quale scorrono i soldi invece che l’acqua. Anche in questo caso però, il prestigio di questa scelta, solo formale, venne presto ripagato con misure poco accorte che di fatto hanno tradito lo spirito autonomistico.

Lo strumento adottato per tradurre il prestigio in privilegio è il cosiddetto “parametro”, che equipara i compensi, indennità, qualità di servizi dell’Assemblea regionale siciliana al Senato della Repubblica. Il parametro è stato usato, peraltro, solo “in meius”, i discostamenti ci sono stati soltanto per “migliorare” il reddito degli abitanti di Palazzo dei Normanni, diventato nel tempo una idrovora. Per questa ragione l’Assemblea spende quattro volte di più della Lombardia.

Il parametro, tuttavia, non avrebbe potuto fare lievitare i costi in modo spropositato se non avesse avuto “ingegneri” dello stipendio e delle indennità ineguagliabili. Questa burocrazia specializzata nell’attribuzione di risorse a parlamentari, partiti ed a se stessa, ha sede a Roma e Palermo, dove da sempre ha allevato competenze che sfiorano la genialità. Non si spiegherebbe altrimenti per quale ragione il segretario generale, anzi i due segretari (ce ne sono due all’Ars), hanno un reddito più alto del presidente degli Stati Uniti d’America.

Gli stipendi, le indennità e i benefit lievitano grazie ad una genialata: gli aumenti vengono decisi in termini percentuali, nemmeno in valore assoluto. Per i dipendenti, pubblici e privati, in Italia e nel mondo, lo stipendio cresce di 50, 100 o 500 euro, nei Palazzi – ed all’Ars – cresce in percentuale, la qualcosa provoca una scandalosa forbice anche all’interno dell’amministrazione che applica questo sistema.

Fra l’assistente parlamentare – che pur ha un reddito invidiabile ed invidiato – ai consiglieri parlamentari, c’è un abisso reddituale. Questo sistema ha anche un altro pregio: nascondere l’entità del balzo in avanti, perché una cosa è decidere un aumento di trecento euro, un’altra di 3 punti percentuali, che triplicano quei trecento euro.

Il meccanismo è ben oleato e tutelato dall’assenza di privacy e dal “comparaggio” (politico) fra alta burocrazia e rappresentanza parlamentare. Gli ingegneri siciliani dello stipendio hanno l’accortezza, infatti, di fare precedere i loro privilegi da quelli – suggeriti, amministrati, costruiti ecc. – della rappresentanza parlamentare. È una catena di Sant’Antonio, insomma, con tutto il rispetto per il santo.

In questa legislatura, ormai agli sgoccioli, il presidente dell’Ars, Francesco Cascio, ha gestito, in prima persona ed attraverso il consiglio di presidenza, una fase difficile, perché la crisi economica avrebbe richiesto sacrifici anche ai parlamentari ed ai burocrati d’oro. Anche Cascio, come i suoi predecessori, ha avuto grande considerazione per i suggerimenti della burocrazia del palazzo. Così, dopo avere predicato e promesso risparmi e tagli, ha dovuto prendere atto che il suo bilancio cresceva invece di “dimagrire”.

Sono stati fatti salti mortali per mettere insieme le necessità di diminuire i costi e quella, altrettanto sentita, di non togliere nemmeno un euro dalle tasche dei burocrati e dei parlamentari. Questa attività è stata coronata da successo: le cose sono rimaste quasi come prima e l’Assemblea regionale ha perfino fatto buona figura, grazie anche alle cronache assai restie ad entrare dentro il Palazzo.  Poi, magari, capita l’incidente di percorso: i giudici del Consiglio di Giustizia amministrativa, per esempio, hanno scoperto che il pensionamento del vice segretario generale Vicari e di due direttori di servizio, presentato come un contributo al taglio dei costi, invece non lo era affatto, perché si  trattava di “una sorta di spoil system”.

Fonte: siciliainformazioni.it

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