La Sicilia in balia delle trivelle. Il Governo raddoppia l’area di ricerca (mappa).


L’OMBRA DEL FRACKING SULLA CORSA AL PETROLIO

Che la Sicilia facesse gola ai petrolieri, lo sapevamo già. Ma tra poco tempo potrebbe diventare un vero e proprio paradiso per le trivelle. Durante gli ultimi scorci di governo, il ministro dello Sviluppo Economico, Corrado Passera, ha fatto un altro grande regalo alle compagnie petrolifere, estendendo l’area per la ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi al largo delle coste dell’Isola. Il decreto, firmato il 27 dicembre 2012, è stato adesso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 12 marzo (QUI IL DOCUMENTO E LAMAPPA). L’atto del governo riguarda l’ampliamento della zona “C” aperta alla ricerca e alla coltivazione degli idrocarburi in mare. Di fatto, viene raddoppiata l’area interessata alla “caccia” dell’oro nero, che già comprende il mare attorno a tutta l’Isola, soprattutto nella parte meridionale e al largo delle Egadi, di Lampedusa e a sud di Mazara del Vallo e Selinunte, integrando un’enorme porzione a est del Mar Ionio meridionale e a sud-est del Canale di Sicilia (si chiamerà zona “C” – Settore Sud). Insomma, di meglio i mercanti del petrolio non potevano sperare.

SI SCALDANO LE TRIVELLE – Così, a decorrere da tre mesi dalla data di pubblicazione del decreto nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea “i soggetti interessati – si legge – possono presentare istanze di permesso di prospezione o di ricerca per idrocarburi liquidi e gassosi”. Poco importa che le “prospezioni sismiche” (ovvero emissioni di onde sonore attraverso l’espulsione di aria compressa) usate dalle compagnie petrolifere prima della trivellazione hanno effetti devastanti sulla fauna ittica, specialmente per i cetacei e il pesce azzurro. Per non parlare poi della successiva trivellazione, col pericolo di sversamenti accidentali di idrocarburi in mare, a poche miglia dalle coste siciliane. Ma, si sa, lo Stato sulle royalties ci guadagna, e parecchio, mentre la Sicilia, con le sue tre piattaforme petrolifere, incassa cifre irrisorie.

AMBIENTALISTI CONTRO – “Sconfortante”. È il giudizio senza giri di parole di Mario Di Giovanna, ingegnere geotecnico, portavoce del comitato “Stoppa la piattaforma”, nato da un paio di anni per l’emergenza trivelle al largo di Sciacca, e costituito, tra le altre, dalle associazioni Green Peace, Italia Nostra, Lega Navale e L’AltraSciacca. “Grazie al ministro e ai nostri parlamentari, – denuncia Di Giovanna – la Northen Petroleum, ha chiesto, ed ottenuto, di potere operare, in deroga al decreto Prestigiacomo, all’interno delle 12 miglia, cioè a poche bracciate da casa nostra. Il permesso d29, il più vicino a Sciacca, è ancora sottoposto a procedura di impatto ambientale, ed il nostro comitato aveva, in tempo utile, fatto le proprie opposizioni. Quindi almeno per questo permesso, c’è ancora una labile speranza di fermarli”.

LETTERA A CROCETTA – Proprio per questo, il comitato Stoppa la piattaforma insieme alle altre associazioni partner e Agci Agrital Sicilia, Lega Coop Pesca Sicilia, Associazione Apnea Pantelleria, l’11 Marzo, ha scritto al presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta, chiedendo di prendere posizione contro il rilascio e la riperimetrazione dei permessi di ricerca d29 e d347, che riguardano la costa che va da Sciacca ad Agrigento, riattivati o riperimetrati grazie al decreto Crescitalia.

RISCHIO FRACKING – C’è poi l’ombra del fracking che avanza minacciosamente tra i fondali del Canale di Sicilia. Si tratta di una tecnica invasiva praticata dalle compagnie petrolifere, che pompano acqua o solventi chimici ad una pressione fortissima per fratturare strati di roccia, così da rendere comunicanti sacche di petrolio o di gas ed estrarli più facilmente. “Che in Sicilia il fracking sia stato praticato in passato tendo a escluderlo, – spiega Di Giovanna – perché i pozzi sono abbastanza vecchi, ma ciò non significa che non possa accadere in futuro, dal momento che i permessi di ricerca aumenteranno progressivamente e questa tecnica diventa sempre più economica per le compagnie”. Che il fracking non faccia proprio bene ai fondali è fatto acclarato, soprattutto se lo si pratica con disinvoltura. Elevati sono i rischi sismici perché si va a intaccare la struttura stessa del terreno ed anche quelli ambientali per la contaminazione chimica delle acque sotterranee e dell’aria. Non a caso in alcuni paesi questa tecnica è stata vietata. C’è chi, come il fisico Maria Rita D’Orsogna, sospetta che il fracking, ufficialmente mai usato in Italia, possa fare presto capolino nel nostro territorio, sempre che non sia stato già praticato, nascosto dal buio degli abissi. I ghiotti mari siciliani si salveranno dall’invasione?

di Giulio Giallombardo


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Fonte: siciliainformazioni.it

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