Stoppa la piattaforma: via Libera del TAR alle trivelle a Gela


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OFFSHORE IBLEO VIA LIBERA DAL TAR – LA SENTENZA FA DISCUTERE

La prima sezione del TAR Lazio ha respinto nella sentenza pubblicata il 3 Giugno i ricorsi presentati da cinque associazioni ambientaliste (Greenpeace, Italia Nostra, WWF, etc) dall’Anci, dai Comuni di Ragusa, Santa Croce Camerina, Palma di Montechiaro, Licata, Scicli e Vittoria, da Legacoop Pesca Sicilia e da Touring Club Italia, contro il progetto Offshore Ibleo che prevede la trivelalzione di 8 pozzi petroliferi nel canale di Sicilia e l’installazione di una nuova Piattaforma petrolifera la “Prezioso K”
Questa sentenza fa passare un principio che io ritengo aberrante.
La VIA non conteneva tutta una serie di valutazione sull’incidenza su pesca, ambiente, popolazione, turismo, di eventi non proprio secondari, incidenti rilevanti, impatti con navi, smottamenti che coinvolgono le pipeline etc.
Ora la sentenza dice che questi aspetti assenti nella VIA verranno valutati, non si capisce nemmeno da chi, a seguito di prescrizioni,

Questo modo di procedere oltre che irrituale non permetterà nel merito delle stesse la partecipazione del pubblico, mandando a carte e quarantotto uno dei principi fondanti della VIA, che è quello che i cittadini devono essere coinvolti nel processo decisorio.
Fossero stati aspetti secondari lo avrei anche potuto capire, ma in questo caso i cittadini non potranno partecipare e valutare aspetti di primo piano delle operazioni offshore ed in particolare le conseguenze di un incidente rilevante!!
Questa sentenza oltre che sul leso diritto della partecipazione deve essere attaccata sul livello della progettazione.
L’Art 23 della legge quadro dell’ambiente impone che all’istanza venga allegato il progetto definitivo dell’opera.
Tale livello di progettazione è definito dall’articolo 24 comma 2 del DPR n. 207/2010.
1. Il progetto definitivo, redatto sulla base delle indicazioni del progetto preliminare approvato e di quanto emerso in sede di eventuale conferenza di servizi, contiene tutti gli elementi necessari ai fini dei necessari titoli abilitativi, dell’accertamento di conformità urbanistica o di altro atto equivalente; inoltre sviluppa gli elaborati grafici e descrittivi nonché i calcoli ad un livello di definizione tale che nella successiva progettazione esecutiva non si abbiano significative differenze tecniche e di costo.”
Orbene nel definitivo non vengano nemmeno presi in considerazione le problematiche relative alla geologia del sito, tanto che la commissione VIA paventa possibili smottamenti che possono coinvolgere le pipeline, questa mancanza è accettabile in un progetto preliminare non certo in un definitivo.
Inoltre il DPR 207/2010 definisce i contenuti minimi del progetto definitivo, orbene alcuni elaborati fondamentali, come i calcoli delle strutture e degli impianti, mancano del tutto:
2. Esso comprende i seguenti elaborati, ……..:
a) relazione generale;
b) relazioni tecniche e relazioni specialistiche;
c) rilievi planoaltimetrici e studio dettagliato di inserimento urbanistico;
d) elaborati grafici;
e) studio di impatto ambientale ove previsto dalle vigenti normative ovvero studio di fattibilità ambientale;
f) calcoli delle strutture e degli impianti secondo quanto specificato all’articolo 28, comma 2, lettere h) ed i); (mancano)
g) disciplinare descrittivo e prestazionale degli elementi tecnici; (mancano)
h) censimento e progetto di risoluzione delle interferenze;
i) piano particellare di esproprio;
l) elenco dei prezzi unitari ed eventuali analisi;
m) computo metrico estimativo; (manca)
n) aggiornamento del documento contenente le prime indicazioni e disposizioni per la stesura dei piani di sicurezza; (manca)
o) quadro economico con l’indicazione dei costi della sicurezza desunti sulla base del documento di cui alla lettera


Potrei continuare, la normativa entra nel dettaglio del contenuto delle singole relazioni specialistiche, che in alcuni casi sono incredibilmente superficiali ed in altri completamente assenti.
Spero vivamente che ricorrano in appello.
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IL TESTO DELLA SENTENZA
N. 07782/2015 REG.PROV.COLL.

N. 11490/2014 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 11490 del 2014, integrato da
motivi aggiunti, proposto da:
Greenpeace Onlus, Associazione Italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF) Onlus Ong, Italia Nostra Onlus, Legambiente Onlus, Lega
Italiana Protezione degli Uccelli – LIPU Birdlife Italia, in persona
dei rispettivi legali rappresentanti p.t., Comune di Ragusa, Comune di
Santa Croce Camerina, Comune di Palma di Montechiaro, Comune di
Licata, Comune di Scicli, in persona dei rispettivi Sindaci p.t.,
Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci), Legacoop Pesca
Sicilia, Touring Club Italia, in persona dei rispettivi legali
rappresentanti p.t., tutti rappresentati e difesi dall’avv. Valentina
Stefutti, con domicilio eletto presso la medesima in Roma, viale
Aurelio Saffi, 20;

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Ambiente e della
Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali, Ministero dello Sviluppo Economico, rappresentati e difesi
dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domiciliano in Roma,
Via dei Portoghesi, 12;
Comune di Gela;

nei confronti di

– Eni Spa – Upstream, in persona del legale rappresentante p.t.,
rappresentata e difesa dall’avv. prof. Stefano Grassi, con domicilio
ex art. 25 c.p.a. presso la Segreteria del Tar Lazio in Roma, Via
Flaminia 189;
– Edison Spa, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata
e difesa dagli avv.ti prof. Eugenio Bruti Liberati, Alessandra Canuti
e Gabriele Pafundi, con domicilio eletto presso lo studio dell’ultimo
in Roma, Via Giulio Cesare, 14;

e con l’intervento di

ad adiuvandum:
Comune di Vittoria, in persona del Sindaco p.t., rappresentato e
difeso dagli avv.ti Angela Bruno e Carmelo Giurdanella, con domicilio
eletto presso lo studio del secondo in Roma, Via dei Barbieri, 6;

per l’annullamento

1) quanto al ricorso:

– del Decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare, di concerto con il Ministro dei Beni e le
Attività Culturali e del Turismo n. 149 del 27 maggio 2014, recante
“Concessione di coltivazione d.3G.C.-A.G. derivante dai permessi di
ricerca G.R.13.AG e G.R.14.AG: perforazione e completamento di sei
pozzi nei campi ARGO e CASSIOPEA (Argo 2 e Cassiopea 1-5) e
perforazione di due pozzi esplorativi (Centauro 1 e Gemini 1)”, a
beneficio di ENI Spa, del parere n. 1263 CTVA del 21 giugno 2013 della
Commissione Integrata VIA-IPPC, afferente il progetto “Offshore Ibleo
Campi Gas Argo e Cassiopea, pozzi esplorativi Centauro 1 e Gemini 1”,
del parere istruttorio conclusivo della domanda AIA-VIA presentata da
Eni s.p.a. Piattaforma Prezioso K del 14 febbraio 2013 n. 593, del
parere del Ministero dei Beni e le Attività Culturali e del Turismo,
Direzione Generale del Paesaggio del 21 giugno 2013 del 19 agosto 2013
“Pronuncia di compatibilità ambientale Concessione d3C.G.-A.G.
perforazione dei pozzi Gemini 1 e Centauro 1 e sviluppo dei giacimenti
Argo e Cassiopea – Proponente ENI Spa Direzione Exploration &
Production” nonchè di tutti gli atti presupposti, preparatori,
connessi e consequenziali, nessuno escluso, ancorchè non conosciuti e
con riserva espressa di formulare motivi aggiunti.

2) quanto ai motivi aggiunti depositati l’8.1.2015:

– del decreto del Direttore Generale della Direzione Generale per le
Risorse Minerarie ed Energetiche del 31 ottobre 2014, con cui è stata
conferita a favore di Eni s.p.a. ed Edison s.p.a., la concessione di
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi contraddistinta dalla
sigla “G. C1. AG” ubicata nel Canale di Sicilia, nella zona marina “G”
per una durata di venti anni nonchè di tutti gli atti presupposti,
preparatori, connessi e consequenziali, nessuno escluso, ancorchè non
conosciuti e con riserva espressa di formulare motivi aggiunti.

Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Presidenza del
Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del
Territorio e del Mare, del Ministero dei Beni e delle Attività
Culturali, del Ministero dello Sviluppo Economico nonchè di Eni Spa ed
Edison Spa, con i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del 6 maggio 2015 il dott. Ivo Correale
e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso a questo Tribunale, ritualmente notificato e depositato,
tutti i soggetti in epigrafe, a vario titolo legittimati
all’impugnativa, chiedevano l’annullamento dei provvedimenti descritti
e individuati in epigrafe.

In sintesi, nella parte narrativa, i ricorrenti evidenziavano quanto segue:

a) la vicenda riguardava la compatibilità ambientale del progetto
“Offshore Ibleo” e del programma di lavori relativo alla concessione
di coltivazione derivante da permessi di ricerca relativa alla
perforazione e completamento di sei pozzi di estrazione gas in due
distinti campi e alla perforazione di altri due pozzi esplorativi,
situati nel Canale di Sicilia, al largo delle coste del Comune di
Licata, oltre ad altre opere;

b) i pozzi ricadevano in specifica area marina mentre le rimanenti
opere, quali l’installazione di una piattaforma (denominata “Prezioso
K” a circa 60 metri da altra piattaforma esistente “Prezioso”) e la
posa delle relative condotte sottomarine, ricadevano all’esterno
dell’area, a 11 chilometri dalla costa;

c) il progetto prevedeva anche un’area a terra (“onshore”) di circa
2.500 mq per la realizzazione di infrastrutture di connessione con la
rete distributiva e per stoccaggio temporaneo, a circa 5 chilometri
dal centro del Comune di Gela;

d) l’area era situata all’interno del Canale di Sicilia, canale
strategico per le rotte marine e per la presenza di fauna marina, tra
cui specie protette di cetacei tutelati, oggetto del programma di
ricerca denominato “Biodiversità Canale di Sicilia; inoltre era
ubicata all’interno della ZPS “Torre Manfria, Biviere e Piana di
Gela”, per il 3,6% della superficie totale della Rete Natura
regionale, in prossimità del SIC “Biviere e Macconi di Gela”, inclusa
nell’Important Bird Area (IBA) n. 166 “Biviere e Piana di Gela”;

e) l’area “onshore” era gravata da vincolo idrogeologico e a 2,6 km
dal Biviere di Gela, il più grande lago costiero siciliano, Riserva
Generale Orientata, protetta ex l.n. 394/91 e classificata quale Zona
Umida di Importanza Internazionale ai sensi della Convenzione di
Ramsar per la tutela di diverse specie di fauna, migratoria e
stanziale, e floristico-vegetazionale;

f) anche il Golfo di Gela rivestiva importanza naturalistica quale
rotta di avifauna acquatica tra Europa e Africa, espressamente
tutelata dall’Accordo AEWA nell’ambito della convenzione di Bonn per
la conservazione delle specie migratrici, ratificata in Italia dalla
l. n. 66/06;

g) la fascia costiera dunale del SIC ospitava a sua volta, in aree
demaniali, habitat prioritari e specie “target” (Muscari gussonei
Leopoldia) mentre le Isole Pelagie, in area “C” e “G” erano aree
marine protette; inoltre, non erano stati considerati l’impatto con le
vocazione turistica della zona e con i beni archeologico-paesistici
ivi presenti;

h) lo studio di incidenza contenuto all’interno dello studio di
impatto ambientale non coinvolgeva approfondimenti sui possibili
incidenti ai pozzi, alle piattaforme o alle “sealines” in mare,
limitandosi il Ministero a dare luogo, nella prescrizione A.17, ad un
mero scenario previsionale sul punto senza valutazione di entità e
riparabilità di un eventuale danno;

i) non era stato considerato il parere negativo espresso dalla Regione
Siciliana nel corso del 2010, che evidenziava la problematica relativa
ai danni ambientali derivanti da trivellazioni da piattaforme
petrolifere in vicinanza a coste già soggette a un forte processo di
antropizzazione e de naturalizzazione, con conseguente sottrazione di
poteri amministrativi regionali da parte del Ministero;

l) non risultavano analogamente valutazioni, nella prescrizione A.2,
in ordine agli impatti derivanti alla pesca commerciale e ai relativi
danni ma risultavano solo considerati oneri compensativi, con erronea
identificazione anche delle flotte effettivamente interessate;

m) non erano stati considerati gli impatti sulle risorse ittiche del
Canale di Sicilia, limitandosi a prescrivere mere attività di
monitoraggio, né erano previste adeguate norme per il c.d.
“decommissioning”;

n) era assente qualsivoglia attività istruttoria tesa a verificare la
componente geologica per subsidenza, sismicità e franosità,
limitandosi anche in questo caso il Ministero a prescrivere semplici
monitoraggi ed a consentire ad Eni spa di produrre solo
successivamente i dati di simulazione della dispersione di sedimenti
nell’ambiente marino;

o) non si era adeguatamente valutato l’impatto acustico dei rumori sui
cetacei marini, il trattamento dei rifiuti e delle emissioni e la
relativa reportistica dei quantitativi sversati in mare;

q) non vi era alcun riferimento al Piano di Emergenza Ambientale nel
decreto VIA impugnato né alcuna considerazione sulla pericolosità
degli incidenti che coinvolgono fuoriuscite di gas parimenti a quelle
di petrolio.

Premesso ciò, nella parte in diritto i ricorrenti, in sintesi,
lamentavano quanto segue.

“1) Violazione della Direttiva 92/43/CEE nel suo complesso ed in
relazione agli artt. 2, 4, 6 e 7. Violazione della Direttiva
79/409/CEE nel suo complesso e in relazione all’art. 4. Violazione
dell’art. 5 DPR 8 settembre 1997 n. 357 s.m.i. Violazione dell’art. 1
commi 2, 3 e 4 del DM 17 ottobre 2007 n. 184. Violazione dell’art. 174
del Trattato (art. 191 TFUE). Violazione della Direttiva 13/30/UE nel
suo complesso ed in particolare in relazione agli artt. 2 e 3.
Violazione dell’art. 1 della legge 7 agosto 1990 n. 241 s.m.i.
Violazione di legge. Violazione dell’”Accordo sulla conservazione
degli uccelli acquatici migratori dell’Africa-Eurasia” (AEWA)”.
Violazione del Decreto Interministeriale 8 marzo 2013”

Riprendendo quanto già esposto in narrativa, evidenziando che tutto il
progetto interessava non meno di otto siti ricadenti nella Rete Natura
2000 e partendo dalla ricostruzione normativa di cui alla “Direttiva
habitat” in materia ed al dpr n. 357/97, unita a quanto previsto dal
DM 17.10.07, n. 184, i ricorrenti insistevano sulla carenza della
valutazione di incidenza di cui al procedimento ambientale approvato,
sotto molteplici aspetti. In particolare, secondo i ricorrenti, non
era stato rispettato il richiamato DM, il quale dispone misure ancor
più restrittive della normativa primaria, laddove prevede che, ove vi
sia una valutazione di incidenza negativa ovvero sussista il dubbio di
danno per gli habitat e le specie presenti nel sito ZPS, non sia
autorizzabile alcunché e le deroghe previste sono da rilasciare in
condizioni di assoluta eccezionalità e solo se non sono coinvolti
habitat e/o specie prioritarie, come invece nel caso di specie.

I ricorrenti evidenziavano anche che, nella fattispecie, pur essendo
presente una valutazione di incidenza nel procedimento di impatto
ambientale, quest’ultimo era carente per la mancata valutazione da
parte della competente Commissione di molteplici aspetti. Non
risultavano, infatti considerati gli impatti sull’ecosistema e i
rischi derivanti da possibili fuoriuscite di gas, da collisione di
navi in transito con la piattaforma, da fenomeni di “blow-out” di gas
durante la perforazione, anche in relazione a cause meramente naturali
e non necessariamente per errore umano. Inoltre, lo studio di
incidenza non risultava espletato per l’IBA n. 166 di cui al sito
“Biviere e Piana di Gela”.

Risultava violato, quindi, il c.d. “principio di precauzione”,
cristallizzato nell’art. 191 TFUE, cogente per tutte le pubbliche
amministrazioni e richiamato espressamente nel primo “Considerando”
della recente Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in
mare nel settore degli idrocarburi, che estende la sua
regolamentazione sia alle acque marine sia alle specie sia agli
habitat di cui alle Direttive 92/43/CEE e 09/147/CE.

Né risultavano valutati i possibili impatti sulle aree costiere
prospicienti al progetto “Offshore Ibleo” e la vicinanza con altri
impianti a rischio, siti a relativa distanza dal collettore degli
oleodotti che è il più vicino a terra e alle aree tutelate.

Non risultava rispettato, inoltre, l’Accordo “AEWA” sulla
conservazione degli uccelli selvatici migratori dell’Africa-Eurasia,
ratificato dall’Italia con l. n. 66/06, dato che qualsiasi studio
ornitologico con metodo scientifico avrebbe finito per concludere che
l’istallazione di impianti come quelli assentiti sarebbe andata ad
incidere irreversibilmente sull’avifauna oggetto di tutela
internazionale. Così pure non risultava rispettato il Decreto
interministeriale 8.3.2013 tra MISE e Ministero dell’Ambiente che
riteneva non perseguibile, nelle aree sensibili in terraferma e mare,
lo sviluppo di progetti con potenziale impatto ambientale.

“2) Violazione di legge. Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 6
comma 17 del D.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 s.m.i.”.

Richiamando la successione procedimentale che aveva contraddistinto la
valutazione dell’ambito di incisione del progetto nel limite di cui
all’art. 6, comma 17, d.lgs. n. 152/06, come introdotto dal d.lgs. n.
128/10, i ricorrenti evidenziavano che comunque l’intero programma non
si sviluppava oltre le 12 miglia marine, in quanto la piattaforma
“Prezioso K” e l’”Export Plem” si trovano all’interno di tale limite,
che opera in riferimento non solo alle attività di coltivazione ma
anche per quelle di ricerca e prospezione.

Inoltre, la stessa realizzazione della piattaforma aveva richiesto una
VIA, a conferma della sua considerazione come fonte di rischio, ed era
comunque un manufatto da escludere nella sua realizzabilità entro il
richiamato limite, ai sensi dell’art. 2, lett. f), g), h) e i), DM
4.11.2011.

Né il procedimento in questione poteva dirsi tra quelli “pendenti”,
per i quali era applicabile sul punto la deroga ai sensi dell’art. 35,
comma 1, l.n. 134/12, dato che la relativa istanza doveva essere già
archiviata prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 128/10, in
assenza di riperimetrazione, gravante sul proponente.

“3) Violazione di legge. Violazione degli art. 117 comma 3 Cost.
Violazione dell’art. 14 lett. e), l), m) dello Statuto Speciale della
Regione Siciliana”.

Richiamando i due pareri negativi espressi dalla Regione nel corso del
procedimento, i ricorrenti lamentavano che il Ministero, senza
richiedere il perfezionamento di un”intesa”, aveva sottratto poteri
amministrativi alla Regione, con contestuale fissazione di regole non
qualificabili come “principi fondamentali” ex art. 117, comma 2, lett.
m), Cost., vertendosi, nel caso di specie, in materia di legislazione
“concorrente”.

Inoltre, i ricorrenti evidenziavano che comunque il Ministero non
aveva fornito adeguata motivazione nel discostarsi dal parere negativo
regionale, come invece avrebbe dovuto.

“4) Travisamento, illogicità, contraddittorietà sotto diversi profili.
Difetto di motivazione e di istruttoria sotto ulteriore profilo.
Travisamento, illogicità, difetto di presupposto, contraddittorietà
sotto diversi profili. Eccesso di potere per sviamento”.

Non risultava effettuata alcuna valutazione approfondita in ordine ai
rischi di incidente relativi alla posa delle condotte “sealines” e
alla loro potenziale danneggiabilità da parte di ancore, pescherecci,
attrezzi da pesca e altro, di cui alla Prescrizione 4 dell’Allegato 1
al d.m. impugnato, così come, nella Prescrizione 9, era previsto un
piano di monitoraggio, da concordarsi con l’ISPRA, sugli effetti delle
perforazioni nell’ambiente marino e della pesca, a conferma che lo
studio di incidenza e quello di impatto ambientale erano stati del
tutto carenti sul punto.

Analogamente doveva concludersi per la Prescrizione 17, che imponeva
di realizzare uno scenario previsionale idoneo a quantificare gli
impatti dovuti ad incidente in fase di perforazione del pozzo o
coltivazione del giacimento e di incendio sulla piattaforma, che
confermava come la Commissione VIA non si fosse soffermata su tale
punto fondamentale. Ciò valeva anche per la Prescrizione A2 in ordine
agli impatti derivanti dalla pesca.

Tali osservazioni confermavano, quindi, la carenza di istruttoria,
considerando che le prescrizioni, pur facendo parte integrante del
provvedimento, non possono sostanziarsi in una integrazione di un
progetto lacunoso né rimandare la soluzione delle criticità alla
valutazione del solo soggetto proponente, come rilevato dalla
giurisprudenza che era richiamata.

Si costituivano in giudizio le sole Amministrazioni statali indicate
in epigrafe, avendo dapprima l’Avvocatura erariale rappresentato anche
la Regione Siciliana e, successivamente, con atto del 21.10.14,
provveduto a revocare la costituzione già effettuata ai sensi
dell’art. 43, comma 3, r.d. n. 1611/1933, ravvisando un conflitto di
interessi in relazione alla richiamata espressione di parere negativo
regionale nel corso del procedimento.

Si costituiva in giudizio anche Eni Spa – Upstream, rilevando
l’infondatezza del ricorso.

Interveniva in giudizio “ad adiuvandum” il Comune di Vittoria,
illustrando argomentazioni a sostegno delle tesi orientate
all’accoglimento del ricorso.

Con rituale atto recante motivi aggiunti, i ricorrenti chiedevano
anche l’annullamento, previa sospensione, dell’ulteriore decreto del
M.I.S.E. indicato in epigrafe – adottato “a valle” della decretata
compatibilità ambientale del programma di lavori derivante dai
permessi di ricerca – recante rilascio di concessione di coltivazione
idrocarburi relativa alla zona marina “G” in favore di Eni Spa e
Edison Spa.

I ricorrenti riportavano il ricorso introduttivo nella sua
integralità, evidenziando, quindi illegittimità derivata.

Inoltre, essi insistevano sulla mancata valutazione dei rischi di
incidenti, sulla insufficiente predisposizione di uno scenario
previsionale a cura della proponente, di cui alle specifiche
Prescrizioni A.17 e A.4, sulla violazione dell’art. 6, comma 17,
d.lgs. n. 163/06 e inapplicabilità dell’art. 35, comma 1, l. cit.,
sull’impatto in ZPS, in IBA e in habitat di avifauna protetta.

In prossimità della camera di consiglio, le Amministrazioni statali
costituite depositavano una prima memoria, in cui, oltre ad
argomentare sull’infondatezza del gravame, eccepivano l’incompetenza
territoriale di questo Tribunale, controvertendosi su un progetto
ubicato nel Canale di Sicilia per il quale gli atti impugnati avevano
effetti diretti esclusivamente in quell’ ambito locale. Le stesse
Amministrazioni provvedevano a depositare anche una seconda memoria in
relazione ai motivi aggiunti e al paventato “periculum”.

Depositava memoria anche l’Eni Spa mentre si costituiva in giudizio
l’Edison Spa, insistendo per la reiezione del gravame.

Alla camera di consiglio la trattazione della domanda cautelare era
rinviata al merito su istanza di parte.

In prossimità della pubblica udienza, le parti depositavano memorie ad
ulteriore illustrazione delle proprie tesi e, alla data del 6 maggio
2015, la causa era trattenuta in decisione.

DIRITTO

Il Collegio, preliminarmente, ritiene sussistente la competenza
territoriale di questo Tribunale.

L’art. 135, comma 1, lett. f), c.p.a. prevede infatti che sono
devolute alla competenza funzionale inderogabile del Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma “le controversie di
cui all’articolo 133, comma 1, lettera o), limitatamente a quelle
concernenti la produzione di energia elettrica da fonte nucleare, i
rigassificatori, i gasdotti di importazione, le centrali
termoelettriche di potenza termica superiore a 400 MW nonché quelle
relative ad infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere
nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti.

A sua volta, l’art. 133, comma 1, lettera o) cit. fa riferimento alle
“controversie, incluse quelle risarcitorie, attinenti alle procedure e
ai provvedimenti della pubblica amministrazione concernenti la
produzione di energia, i rigassificatori, i gasdotti di importazione,
le centrali termoelettriche e quelle relative ad infrastrutture di
trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione
nazionale o rete nazionale di gasdotti”.

Nel caso di specie, risultano impugnati il decreto del M.A.T.T.M. di
compatibilità ambientale relativo al progetto di coltivazione di gas
metano “Offshore Ibleo – Campi Gas Argo e Cassiopea”, concernente
anche a.i.a. per la nuova piattaforma “Prezioso K” ricompresa nel
progetto, nonché, con i motivi aggiunti, il decreto del M.I.S.E.
recante concessione di coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi
collegata al richiamato progetto. Quest’ultimo si articola in
complesse attività da realizzare e indicate nello stesso decreto
impugnato, quali: a) lo sviluppo della coltivazione di due campi gas a
circa 21 km dalla costa, attraverso il recupero, il completamento e la
messa in produzione di due pozzi esistenti denominati Argo 2 e
Cassiopea 1dir, la perforazione e la messa in produzione di nuovi
quattro pozzi denominati Cassiopea 2dir, Cassiopea 3, Cassiopea 4 e
Cassiopea 5; b) la perforazione di due nuovi pozzi esplorativi
denominati Centauro 1 e Gemini 1; c) l’installazione della piattaforma
Prezioso K, vicina all’esistente piattaforma Prezioso, e la
realizzazione del ponte di collegamento fra le stesse, ricadente nella
concessione di coltivazione “C.C3.AG”, a circa 11 km dalla costa, nel
tratto compreso fra i Comuni di Licata e di Gela; d) la realizzazione
del processo di trattamento del gas; e) l’installazione delle
strutture in alto fondale e posa delle condotte sottomarine (sealines)
di collegamento tra i pozzi e la piattaforma Prezioso K e tra la
piattaforma e il Pipe Line End Manifold (PLEM) posizionato a circa 7
km dalla costa e alla profondità di circa 20 m; f) l’installazione del
riser; g) la realizzazione dei sistemi di emergenza; h) la
realizzazione delle opere a terra del progetto nel territorio del
Comune di Gela in un’area, di circa 2.500 m2, individuata all’interno
della già esistente area relativa al Progetto Gerre Stream
(realizzazione di un misuratore fiscale del gas e l’installazione
temporanea delle apparecchiature necessarie a garantire le operazioni
di “pigging” della sealine di trasporto.

Tutte queste opere, quindi, prevedono la costruzione di manufatti di
vario tipo legati indissolubilmente alla coltivazione al fine di dare
luogo a “infrastrutture di trasporto ricomprese o da ricomprendere
nella rete di trasmissione nazionale o rete nazionale di gasdotti”, ai
sensi dell’art. 135 c.p.a. cit. e ciò vale anche per il decreto del
M.I.S.E. impugnato con i motivi aggiunti, adottato – come ricordano
gli stessi ricorrenti – “a valle” dei provvedimenti di compatibilità
ambientale.

Si ricorda che, proprio in merito alla competenza del TAR Lazio, sede
di Roma, ai sensi del richiamato art. 135, comma 1, lett. f), c.p.a.
il Consiglio di Stato ha riconosciuto, in sede di regolamento di
competenza ex artt. 15 e 16 c.p.a., che l’uso della locuzione
“controversie” di cui a tale norma deve essere riferito non solo ai
provvedimenti concernenti l’autorizzazione alla realizzazione dei
rigassificatori ma anche a tutte quelle manifestazioni dei pubblici
poteri che, anche indirettamente, attengano alla costruzione degli
impianti in questione (Cons. Stato, A.P., ord. 26.7.12, n. 29).

Applicando tale chiave di lettura anche alle “infrastrutture di
trasporto ricomprese o da ricomprendere nella rete di trasmissione
nazionale o rete nazionale di gasdotti”, di cui alla medesima norma,
il Collegio ritiene che l’inscindibilità del complesso delle opere
realizzande dalla rete nazionale di trasporto, ove ivi presumibilmente
confluisce il gas estratto e “lavorato”, consenta di escludere che i
provvedimenti impugnati abbiano un effetto limitato al contesto
territoriale in cui opera il Tribunale regionale amministrativo della
Sicilia, ai sensi dell’art. 13 c.p.a., e che nel caso di specie operi
la norma speciale di cui al richiamato art. 135 c.p.a.

A corroborare tale conclusione, valga anche il richiamo all’art. 38
d.l. n. 133/14, conv. in l. n. 164/14, operato dalle parti
controinteressate, laddove è precisato, al comma 1, che “Al fine di
valorizzare le risorse energetiche nazionali e garantire la sicurezza
degli approvvigionamenti del Paese, le attività di prospezione,
ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio
sotterraneo di gas naturale rivestono carattere di interesse
strategico…”, con ciò confermando, con il richiamo all’interesse
strategico, l’influenza sull’intera rete nazionale di gasdotti delle
attività corrispondenti a quelle assentite con i provvedimenti
impugnati.

Chiarito ciò e passando ad esaminare nel merito l’intero gravame, il
Collegio ne rileva l’infondatezza.

Preliminarmente, il Collegio rileva che sia la difesa erariale che
quella di Eni spa evidenziano la giurisprudenza che, in punto di
valutazione ambientale, riconosce un’ampia discrezionalità agli organi
tecnici preposti. Ciò, però, sottolinea il Collegio, non può valere a
identificare una sorta di intangibilità dei provvedimenti che ne
derivano tanto da configurare una inammissibilità dei relativi motivi
di ricorso, residuando ampi margini di delibazione giurisdizionale,
ammessi esplicitamente dalla stessa giurisprudenza richiamata, in
ordine casi di illogicità manifesta, erroneità in fatto, evidente
contraddittorietà che confluiscono in vizi di istruttoria e
motivazione (per tutte: Cons. Stato, Sez. V, 21.11.07, n. 5910).

Dato che proprio tali vizi risultano prospettati dai ricorrenti, sia
pure a conclusione di un’elaborata modalità descrittiva, dovrà
valutarsi in relazione alle singole censure se essi possono
riscontrarsi ma non in forma generale, secondo quando invece eccepito
sotto profili di inammissibilità nei rispettivi “incipit” delle difese
delle parti intimate.

Chiarito ciò, passando a valutare l’articolato primo motivo di
ricorso, il Collegio rileva che i ricorrenti, pur riconoscendo la
presenza di una “valutazione di incidenza” nel procedimento di impatto
ambientale, lamentavano che non risultavano considerati i riflessi
sull’ecosistema e i rischi derivanti da possibili fuoriuscite di gas,
da collisione di navi in transito con la piattaforma, da fenomeni di
“blow-out” di gas durante la perforazione, anche in relazione a cause
meramente naturali e non necessariamente per errore umano e che,
inoltre, lo studio di incidenza non era espletato per l’IBA n. 166 di
cui al sito “Biviere e Piana di Gela”, risultando violato, quindi, il
c.d. “principio di precauzione”, cristallizzato nell’art. 191 TFUE, e
richiamato espressamente nel primo “Considerando” della recente
Direttiva 2013/30/UE sulla sicurezza delle operazioni in mare nel
settore degli idrocarburi, che estende la sua regolamentazione sia
alle acque marine sia alle specie sia agli habitat di cui alle
Direttive 92/43/CEE e 09/147/CE.

Sul punto, però, il Collegio rileva che lo studio di incidenza
risultava effettuato su siti SIC e ZPS nonché per l’area IBA, con
esclusione di impatti significativi laddove, per le opere “onshore”,
le attività progettuali risultano inserite nell’area “Greenstream” di
Gela destinata ad attività industriali.

Da quanto risulta agli atti, lo studio (cap. 3, par. 3.1) ha escluso
impatti significativi con gli habitat in riferimento proprio all’IBA e
alla funzionalità della Rete Natura 2000, comprensivi di flora e
fauna, anche in riferimento al momento della sola cantierizzazione.

Né sul punto i ricorrenti forniscono elementi di censura più precisi
in relazione alle specifiche disposizioni dello studio di incidenza,
così da dimostrare l’intervenuta illogicità, contraddittorietà o
erroneità in fatto valutabili in questa sede.

Inoltre, specifica prescrizione (A.1) prevede che per evitare
interferenze con rotte navali, Eni spa dovrà chiedere preventivo
nulla-osta alla Capitaneria di porto mentre altra specifica
prescrizione (A.17) illustra che, in fase esecutiva e prima dell’avvio
dei lavori, dovrà essere predisposto uno scenario previsionale idoneo
a quantificare gli effetti negativi e significativi dell’habitat
marino dovuto ad incidenti in fase di perforazione del pozzo o
coltivazione del giacimento e di incendio alla piattaforma, indicando
nel Piano di emergenza ambientale tutte le misure di pronto intervento
e compensative. Analogamente (A.18) è prevista una prescrizione che
obbliga Eni spa, in fase di progettazione esecutiva e prima dell’avvio
dei lavori, a presentare un progetto di dismissione e ripristino
dell’ambiente nella configurazione marina “ante operam”.

L’imposizione di tali attività “in fase di progettazione esecutiva e
prima dell’avvio dei lavori” chiarisce come il provvedimento impugnato
non abbia ignorato gli aspetti della valutazione ambientale cui era
predisposto ma abbia, anzi, approfondito proprio quei profili critici
paventati dai ricorrenti.

Che ciò sia avvenuto attraverso “prescrizioni” non sta a significare,
poi, che la fase istruttoria sia stata carente e che il M.A.T.T.M.
abbia cercato di rimandare ad una fase successiva ciò che invece
doveva essere effettuato ai sensi della normativa vigente.

In argomento il Collegio evidenzia che la giurisprudenza ha
riconosciuto come legittimo un giudizio positivo di compatibilità
ambientale pur se condizionato all’ottemperanza di molteplici
prescrizioni, in quanto una valutazione condizionata di tal guisa
costituisce un giudizio allo stato degli atti integrato
dall’indicazione preventiva degli elementi capaci di superare le
ragioni del possibile dissenso, in ossequio al principio di
economicità dell’azione amministrativa e di collaborazione tra i
soggetti del procedimento (Cons. Stato, Sez. VI, 23.2.09, n. 1049,
Sez. IV, 22.7.05, n. 3917 e 3.5.05, n. 2136; TAR Molise, 23.12.11, n.
992 e TAR Emilia Rom.ìagna, Bo, Sez. I. 30.11.09, n. 2527).

Che il complesso prescrizionale richiamato faccia riferimento alla
fase di progettazione esecutiva e “prima” dell’avvio dei lavori,
conferma comunque il carattere definito del progetto e la sua
assentibilità, nel caso di specie anche ai sensi dell’art. 28 d.lgs.
n. 152/05, essendo normale – come riconosciuto dalla giurisprudenza –
che in sede autorizzativa l’Amministrazione possa imporre prescrizioni
da porre in atto nella successiva fase esecutiva, dato che, al fine di
realizzare un’opera di particolare complessità, occorrono
necessariamente variazioni le quali non possono che interessare la
fase esecutiva e che, in sede di autorizzazione, non possono che
essere contemplate per mezzo, appunto, di prescrizioni condizionanti,
la cui effettiva esecuzione potrà essere garantita successivamente, in
sede di collaudo, verifica e monitoraggio (Cons. Stato, Sez. VI,
2.3.10, n. 1196)

In sostanza – e per concludere sul punto – l’articolazione di tutta
una serie di prescrizioni specifiche e puntuali da parte del
M.A.T.T.M., in sede di recepimento del parere della Commissione di
valutazione impatto ambientale, non può essere automaticamente assunta
quale indice o addirittura prova da sola dell’insufficienza e
dell’incompletezza degli studi di impatto ambientale inerenti al
progetto da parte del soggetto proponente – secondo la ricostruzione
delle tesi dei ricorrenti – in quanto l’Amministrazione è titolare di
un potere pieno di valutazione e di conformazione della decisione
sull’opera e, in presenza di criticità del progetto valutabili solo
“ex ante” e in via teorica, che potrebbero in astratto configurare una
dubbia compatibilità ambientale, non deve necessariamente esprimere
una v.i.a. negativa quanto piuttosto valutare la possibilità di
prescrivere misure mitigative o modifiche al progetto, proprio nel
rispetto del principio di economicità dell’azione amministrativa e di
collaborazione tra i soggetti del procedimento (TAR Campania, Sa, Sez.
I, 19.12.06, n. 2234 e TAR Lazio, Sez. I, 31.5.04, n. 5118).

Ne consegue, pertanto, che è nel diritto-dovere della P.A. apporre sul
titolo autorizzatorio condizioni e prescrizioni preordinate a
garantire, nel presente e nel futuro, la conformità della realizzanda
opera alla normativa di settore.

Quanto detto si riflette anche per le parti di progetto “offshore”, in
quanto è indicato (v. Cap. 4.1.2. e Cap. 5 dello studio di impatto
ambientale) che non risulta la formazione di deviazioni dei percorsi
migratori, ai sensi dunque dell’Accordo AEWA, fermo restando che
nessuna attività di coltivazione è posta all’interno di aree marine o
costiere protette a scopi ambientali, risultando la piattaforma
“Prezioso K” e il relativo “Export Plem” all’esterno delle aree
ricadenti nella Rete Natura 2000 e nell’IBA richiamato dai ricorrenti
che, dal canto loro, non forniscono indicazioni oggettive di senso
contrario fondate su una rilevazione, punto per punto, dei contenuto
dello studio di incidenza e di impatto ambientale, anche in
riferimento alle richiamate direttive “Habitat” 92/43/CEE e “Uccelli”
2009/147/CEE già 79/409/CEE, in cui non era riscontrata criticità
nelle conseguenze sull’avifauna.

La circostanza che non risulta invasione irreversibile di aree
protette, e quindi sottrazione di siti “conservati” ai sensi del d.m.
n. 357/97, fa sì che non si riscontri l’ipotesi prospettata dai
ricorrenti di presenza accertata di dubbio che il progetto possa
essere foriero di danno per l’habitat e le specie presenti nel sito,
ai sensi del d.m. n. 184/07.

Né può rilevare in senso decisivo il richiamo ad un incidente occorso
nel Golfo del Messico, che ha originato la direttiva 2013/30/UE, sia
perché non è dimostrata l’assoluta identità delle situazioni
considerate e dei provvedimenti amministrativi rilasciati dalle
competenti Autorità sia perché tale direttiva non è ancora recepita
nell’ordinamento italiano sia, infine, perchè si limita a richiamare
il c.d. “principio di precauzione”.

In ordine a tale principio, si ricorda che esso non può arrivare a
legittimare una interpretazione delle disposizioni normative, tecniche
ed amministrative, vigenti in un dato settore tanto da dilatarne il
senso, fino a ricomprendervi vicende non significativamente
pregiudizievoli dell’area interessata, in quanto la situazione di
pericolo, pur potenziale o latente, non deve essere meramente
ipotizzata e deve incidere significativamente sull’ambiente e la
salute dell’uomo. Sotto tale angolazione, il principio di precauzione,
quindi, non consente “ex se” di attribuire ad un organo pubblico un
potere di interdizione di un certo progetto o misura e, in ogni caso,
esso affida alle Autorità competenti il compito di prevenire il
verificarsi o il ripetersi di danni ambientali, lasciando però alle
stesse ampi margini di discrezionalità in ordine all’individuazione
delle misure ritenute più efficaci, economiche ed efficienti in
relazione a tutte le circostanze del caso concreto (Cons. Stato, Sez.
V, 27.12.13, n. 6250).

Ancora una volta, quindi, nel caso di specie, non si rileva, dalla
impostazione delle censure dei ricorrenti e dagli elementi oggettivi
da loro forniti in giudizio, la conclusione per la quale manchino del
tutto o comunque non siano idonee le misure di prevenzione dei danni
ambientali riscontrabili nelle molteplici prescrizioni dettate a tale
scopo nel senso sopra evidenziato.

In tal senso, perciò, devono interpretarsi tutte le prescrizioni, tra
cui si richiama quella A.2 sulla tutela della pesca.

Da ultimo, generica e apodittica appare l’affermazione dei ricorrenti
in ordine alla circostanza per la quale risulta “intuitivo che
qualsiasi studio ornitologico condotto seriamente nelle aree
menzionate, svolto con metodi scientifici e per periodi legati a tutto
il ciclo biologico delle diverse specie ivi ospitate, avrebbe finito
per concludere che l’installazione di impianti come quello di cui si
controverte sarebbe andato ad incidere irreversibilmente sull’avifauna
oggetto di tutela con conseguenze su scala internazionale”, dato che
tali conclusioni non sono suffragate da elementi oggettivi e
incontrovertibili e non tengono conto che comunque il progetto va ad
impattare per la gran parte su area già industrializzata e
antropizzata, “Greenstream” di Gela destinata ad attività industriali.

Né il richiamo al d.i. 8.3.2013 appare rilevante, in quanto il
progetto prende vita in data anteriore e comunque le ragioni di tutela
della sicurezza sono ampiamente approfondite e illustrate nel progetto
esaminato.

Non si riscontra quindi la carenza di istruttoria sotto i profili
delibabili nella presente sede, rilevandosi che sia lo studio di
impatto ambientale sia lo studio di incidenza hanno esaminato tutte le
criticità derivabili dalla realizzazione del progetto allo stato degli
atti. Nel primo, ai capitoli 5 e 6, sono illustrate le ricadute sui
siti di importanza comunitaria, sono descritte le valutazioni sugli
habitat e sulle specie animali presenti, anche in relazione
all’avifauna di cui all’Accordo AEWA, e le conseguenze sull’attività
di cantiere che risultano senza conseguenze irreversibili per quanto
riguarda le attività “onshore”. Per quelle “offshore”, si è
evidenziato che non ci sono ricadute dirette in aree protette, con
valorizzazione della precauzioni (Cap. 5 dello Studio di impatto
ambientale), poi riportate nelle singole prescrizioni al fine di
evitare, in fase realizzativa, interferenze nocive di alcun tipo.

Per quel che riguarda il secondo motivo di ricorso, il Collegio rileva
che il limite delle 12 miglia marine non è circostanza decisiva,
applicandosi alla fattispecie l’art. 35, comma 1, d.l. n. 83/12, conv.
in l. n. 134/12 e in coerenza con l’art. 4 d.lgs. n. 128/10, in quanto
il procedimento era in corso alla data di entrata in vigore del d.lgs.
n. 128/10 cit., risultando avviato nel maggio 2010 dal Ministero in
seguito ad istanza del luglio 2009.

Né è possibile concordare con l’apodittica affermazione dei
ricorrenti, secondo i quali l’Amministrazione avrebbe dovuto
archiviare l’istanza, non rilevandosi sulla base di quale normativa
fosse necessaria da parte del proponente una riperimetrazione se solo
la piattaforma “Prezioso K” rientrava nel detto limite e riguardava il
solo trasporto di gas. Inoltre, l’art. 6, comma 17, “Codice Ambiente”,
come introdotto dal d.lgs. n. 128/10, fa salvi i procedimenti
concessori, conseguenti e connessi e l’efficacia dei titoli
abilitativi (nel caso di specie i permessi di ricerca GR13AG e
GR14.AG) già rilasciati alla data di entrata in vigore di tale d.lgs.,
anche ai fini dell’esecuzione delle attività di ricerca, sviluppo e
coltivazione da autorizzare nell’ambito dei titoli stessi, chiarendo
così che il divieto in questione operava solo per il futuro in
relazione a nuovi procedimenti autorizzatori e concessori.

Parimenti infondato è il terzo motivo di ricorso.

In primo luogo, nella normativa applicabile non si riscontra
l’obbligatorietà di alcuna “intesa” con l’ente regionale. In secondo
luogo sussiste la competenza esclusiva statale in materia ambientale e
sul punto la Regione siciliana non può reclamare una commistione tra
funzioni amministrative e funzioni legislative, come riconosciuto
anche dalla Corte Costituzionale (sent. n. 380/2007).

Era dunque sufficiente la valutazione del parere regionale e una
motivata deduzione sulle ragioni per non concordare con esso. Ciò è
infatti avvenuto, in quanto la Commissione VIA ha esplicitamente
richiamato nel suo parere le conclusioni della Regione ed ha
esplicitamente motivato sul punto, rilevando che le criticità
rappresentate “…sono in parte riconducibili alla coltivazione di campi
petroliferi mentre presentano rischi potenziali nettamente inferiori
nella coltivazione di campi gas come nel caso in esame. Le restanti
considerazioni, valide per qualsiasi attività di perforazione e per
qualsiasi tipologia di piattaforma off-shore, sono state prese in
esame durante lo svolgimento dell’istruttoria in oggetto, richiedendo
specifiche integrazioni e prevedendo apposite prescrizioni. Si ritiene
quindi che il progetto in esame e le prescrizioni impartite nel
presente parere abbiano preso in esame e risolto gli elementi di
incompatibilità ambientale descritti nella soprarichiamata Delibera di
Giunta Regionale”.

Tali conclusioni rientrano, per quanto detto in precedenza, nell’ampia
valutazione discrezionale in argomento riconoscibile all’organo
tecnico ministeriale e smentiscono l’assunto dei ricorrenti per il
quale era assente una motivazione che giustificasse il discostarsi
dalla considerazione negativa dell’ente regionale.

Proprio in relazione al contenuto dell’art. 14, lett. e), l) e m),
dello Statuto regionale come richiamato dai ricorrenti, poi, non senza
rilievo è quanto evidenziato dalle controinteressate nei propri
scritti difensivi, laddove si ricorda che la stessa Regione Siciliana
ha poi sottoscritto un protocollo d’intesa per l’area di Gela,
depositato in giudizio, che prevede la realizzazione del progetto in
questione, anche ai sensi di quanto indicato nel relativo art. 3, al
fine di sviluppo delle attività “upstream” focalizzate sulla
valorizzazione della “risorsa gas”, con le correlate corresponsioni di
“royalties” e ricadute occupazionali.

Da ultimo, anche il quarto motivo di ricorso non appare condivisibile.

Dall’esame complessivo del quadro prescrizionale allegato al decreto
del M.A.T.T.M. impugnato, risulta che le valutazioni in ordine ai
rischi siano state effettuate e discrezionalmente valutate,
nell’ambito di incisione “allo stato degli atti” delle prescrizioni
allegate ai provvedimenti abilitativi, per quanto dedotto in
precedenza.

Il Collegio, sul punto, richiama il capitolo 3 dello Studio di impatto
ambientale che esamina i potenziali rischi di incidenti durante la
fase di perforazione e di installazione della “sealines”,
relativamente a fuoriuscita accidentale di gas (“blow out”),
sversamento in mare del gasolio che alimenta i generatori, incendi,
esplosioni, collisioni di navi con la piattaforma, posa delle
condotte, rischio geologico, vulcanico e sismico, rischio da presenza
di natanti di pesca e attrezzature varie. Risulta svolta una specifica
analisi sulla stabilità dei versanti del fondale marino in relazione
ad eventi franosi. In merito i ricorrenti non allegano elementi idonei
a ritenere l’illogicità e erroneità del relativo provvedimento
ministeriale sul punto né risultano indicati quali profili specifici
si ritenga che siano stati trascurati in relazione alla peculiare
conformazione del territorio di riferimento.

Tali valutazioni sono confluite nelle prescrizioni A.1, A.2, A.3, A.4,
A.7, A.9, A.11, A.16, A.17.

Coerenti con la funzione delle modalità prescrizionali – secondo
quanto in precedenza illustrato – sono poi le osservazioni delle
controinteressate, per le quali il quadro delle prescrizioni non può
che essere integrato nella fase successiva esecutiva, soprattutto per
quel che riguarda gli aspetti relativi alle conseguenze sulla pesca,
in quanto solo in tale fase saranno individuati i mezzi utilizzati, il
periodo stagionale di lavorazione e cantierizzazione, il
cronoprogramma dei lavori e di interdizione delle aree e la loro
esatta definizione.

Ciò vale, in particolare, anche per quanto riguarda gli effetti
prodotti sull’ambiente marino e le comunità bentoniche e ittiche
(Prescrizione A.9) e sul complesso floro-faunistico e relativi
ecosistemi (Prescrizioni A.12 e A.15), gli effetti acustici e relativa
incisione sui cetacei (Prescrizioni A.13 e A.14), l’ampio monitoraggio
“ante operam” ritenuto necessario (Prescrizione A.10), il controllo
dei sedimenti rilasciati (Prescrizione A.11), lo scenario per
eventuali incidenti (Prescrizioni A.17, B.18 e B.19), le modalità del
progetto di dismissione (Prescrizione A.18).

Per quel che riguarda il parere espresso dal Mi.BACT, gli stessi
ricorrenti si limitano a notare che in esso sarebbero state espresse
“preoccupazioni” ma ciò non incide sulla sostenibilità dell’impianto
del provvedimento impugnato, dato che il parere era comunque di
contenuto positivo e i ricorrenti stessi non indicano quali peculiari
conseguenze negative sul patrimonio protetto sotto tale profilo
deriverebbero dal decreto censurato in questa sede.

In base a quanto finora indicato nulla aggiungono le argomentazioni
dell’interveniente Comune di Vittoria, genericamente orientate ad
individuare una carenza di istruttoria che non trova riscontro negli
atti del procedimento, come illustrato.

In sostanza, risulta un quadro ampiamente articolato che il M.A.T.T.M.
ha valutato, privo delle criticità espresse dei ricorrenti, per cui il
ricorso non può trovare accoglimento.

Passando all’esame dei motivi aggiunti, per quanto riguarda la
ritenuta illegittimità derivata, il Collegio richiama quanto finora
espresso per confermare l’infondatezza delle censure.

In ordine alle restanti deduzioni dei ricorrenti (pag. 36 e ss.
dell’atto recante i motivi aggiunti), il Collegio non può che rinviare
a quanto sostanzialmente già illustrato in precedenza in ordine alla
completezza e coerenza della Prescrizione A.4 e di quella A.17, in
relazione al fine che la fattispecie della “prescrizione” assume nel
contesto di un decreto autorizzativo in materia ambientale, alla non
applicabilità al caso di specie della previsione dell’art. 6, comma
17, d.lgs. n. 152/06, per il principio “tempus regit actum”
riconducibile alla deroga di cui al richiamato art. 35, comma 1, d.l.
n. 83/12, conv. in l. n. 134/12 e in coerenza con l’art. 4 d.lgs. n.
128/10, al corretto ambito di applicazione delle direttive 92/43/CEE e
09/147/CE, al corretto ambito di interpretazione del “principio di
precauzione”.

Nulla aggiungendo sul punto i motivi aggiunti, il Collegio ne rileva,
quindi, ugualmente l’infondatezza.

Per quanto dedotto il gravame non può trovare accoglimento.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima),
definitivamente pronunciando sul ricorso e i motivi aggiunti, come in
epigrafe proposti, li rigetta.

Condanna in solido i ricorrenti a corrispondere le spese di lite, che
liquida in totale in euro 6.000,00 oltre accessori di legge, da
suddividere in tre parti uguali a favore delle Amministrazioni statali
costituite e delle due controinteressate. Compensa con l’interveniente
“ad adiuvandum”.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 6 maggio 2015 con
l’intervento dei magistrati:

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