Trivelle: l’offshore ibleo, il cuore dell’impero Eni. Gela-Licata-Ragusa, investimento da 900 milioni


In 14 anni la società del cane a sei zampe insieme a Edison contano di ricavare 10 miliardi di metri cubi di gas su un’area di 279mila ettari. Un progetto presentato nel 2013 e che, con la firma del protocollo sulla riconversione della raffineria di Gela, si è ampliato con nuove estrazioni.

DI GINO PIRA

piattaforma

Un investimento da 900 milioni di euro, una produzione cumulativa di gas naturale di 10 miliardi di metri cubi in circa 14 anni e un’area di 278.820 ettari, sono questi i numeri più rappresentativi dell’offshore Ibleo, progetto presentato da Eni ed Edison nel 2013. Due perforazioni esplorative, sei pozzi di produzione commerciale, una nuova piattaforma e una serie di oleodotti che il 27 maggio dell’anno successivo, quando il ministero dell’Ambiente accredita con proprio decreto la Valutazione di Impatto Ambientale presentata dai proponenti, diventano una realtà concreta.

Iniziano così le mobilitazioni dei cittadini, appoggiati da associazioni locali e ambientalisti, che culmineranno nell’occupazione della piattaforma Prezioso da parte di Greenpeace nell’ottobre 2014 e nella partecipatissima manifestazione dello scorso 9 gennaio a Licata. Anche la Regione Sicilia interviene con un iniziale parere negativo del maggio 2013 che sarà, poi, smentito da due protocolli del giugno e del novembre 2014 con i quali rispettivamente si elargisce la concessione per la coltivazione di idrocarburi prevista dall’offshore Ibleo e si stabilisce un piano di potenziamento della raffineria di Gela in cambio dell’autorizzazione per ulteriori estrazioni.

Nel frattempo viene presentato un ricorso al Tar del Lazio per ottenere il ritiro dell’autorizzazione, ma i giudici amministrativi lo rigettano e condannano i ricorrenti a seimila euro di spese giudiziarie. A Licata, la situazione è quella post-mobilitazione: «Si attende il Cga sul ricorso contro il decreto Via sull’offshore ibleo e nel frattempo si continua a invocare la moratoria delle concessioni già rilasciate in attesa degli esiti del referendum», afferma Antonino Catania del comitato No Triv locale.

Ragusa ha all’attivo quattro pozzi sulla terraferma e una piattaforma, la Vega A, alla quale si dovrebbe affiancare la già autorizzata gemella Vega B. «Questo territorio – dicono i No Triv iblei – è da sempre il più interessato dalle estrazioni, e adesso che molte concessioni sono operative stiamo avviando una petizione per rendere trasparente la gestione comunale delle royalties: in cinque punti chiediamo all’amministrazione di utilizzare questi proventi per la tutela ambientale, la bonifica del territorio, l’efficientamento energetico».

Fonte: meridionews.it

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