Una domenica con… Ignazio Buttitta 1


ignazio buttitta

Apriamo questo nostro nuovo spazio domenicale con Ignazio Buttitta, che tra i poeti contemporanei che hanno scelto di esprimersi in siciliano è il più noto e il più conosciuto, sia in Sicilia che nel resto dell’Italia. Tra i suoi temi più ricorrenti quelli delle lotte contadine e della conservazione della propria cultura.

Forse la sua lirica più famosa è Lingua e dialetto, dove implora i siciliani affinché conservino la propria lingua. Leggiamola insieme:

“LINGUA E DIALETTU” di IGNAZIO BUTTITTA

Un populu
mittitilu a catina
spughiatilu
attuppatici a vucca
è ancora libiru.
Livatici u travagghiu
u passaportu
a tavula unnu mancia
u lettu unnu dormi,
è ancora riccu.
Un populu
diventa poviru e servu
quannu ci arrubbanu a lingua
addutata di patri:
è persu pi sempri.
Diventa poviru e servu
quannu i paroli non figghianu paroli
e si mancianu tra d’iddi.
Mi nn’addugnu ora,
mentri accordu la chitarra du dialettu
ca perdi na corda lu jornu.
Mentre arripezzu
a tila camuluta
ca tissiru i nostri avi
cu lana di pecuri siciliani.
E sugnu poviru:
haiu i dinari
e non li pozzu spènniri;
i giuelli
e non li pozzu rigalari;
u cantu
nta gaggia
cu l’ali tagghiati.
Un poviru
c’addatta nte minni strippi
da matri putativa,
chi u chiama figghiu
pi nciuria.
Nuàtri l’avevamu a matri,
nni l’arrubbaru;
aveva i minni a funtana di latti
e ci vìppiru tutti,
ora ci sputanu.
Nni ristò a vuci d’idda,
a cadenza,
a nota vascia
du sonu e du lamentu:
chissi non nni ponnu rubari.
Non nni ponnu rubari,
ma ristamu poviri
e orfani u stissu.

Lingua e dialetto (versione italiana)

 

Un popolo
mettetelo in catene
spogliatelo
tappategli la bocca
è ancora libero.
Levategli il lavoro
il passaporto
la tavola dove mangia
il letto dove dorme,
è ancora ricco.
Un popolo
diventa povero e servo
quando gli rubano la lingua
ricevuta dai padri:
è perso per sempre.

Diventa povero e servo
quando le parole non figliano parole
e si mangiano tra di loro.
Me ne accorgo ora,
mentre accordo la chitarra del dialetto
che perde una corda al giorno.

Mentre rappezzo
la tela tarmata
che tesserono i nostri avi
con lana di pecore siciliane.

E sono povero:
ho i danari
e non li posso spendere;
i gioielli
e non li posso regalare;
il canto
nella gabbia
con le ali tagliate.
Un povero
che allatta dalle mammelle aride
della madre putativa,
che lo chiama figlio
per scherno.
Noialtri l’avevamo, la madre,
ce la rubarono;
aveva le mammelle a fontana di latte
e ci bevvero tutti,
ora ci sputano.

Ci restò la voce di lei,
la cadenza,
la nota bassa
del suono e del lamento:
queste non ce le possono rubare.

Non ce le possono rubare,
ma restiamo poveri
e orfani lo stesso.

Altro momento importante e significativo della sua produzione nonchè sempre attuale per noi siciliani è UN SECOLO DI STORIA che assaporiamo in questo estratto nella versione tradotta in italiano:

da “UN SECOLO DI STORIA” (1970) di IGNAZIO BUTTITTA

Accuso i politici di oggi e di ieri,
Crispi e compagni, predicatori della monarchia,
beccamorti e falegnami che inchiodarono la Sicilia viva alla croce.

Li abbiamo qui, ancora qui, con le stesse facce
e il cuore di selvaggi, di scannapopolo.

Gli lecchiamo i piedi, gli diamo il voto,
le unghie per scorticarci, la corda per impiccarci,
la mazza e l’incudine per romperci le ossa.

La Sicilia non ha più un nome, né casa e paese.
Ha i figli sparsi per il mondo,
sputati come cani, venduti all’asta.

Soldati disarmati che combattono con le braccia.
Con le braccia, i soldati senza patria, gli stracciati
e carni senza lardo
vestono d’oro i porci di fuori.

Li chiamano terroni, piedi fetenti
E hanno i figli e le madri che contano i giorni con gli occhi bagnati,
e questo cielo che bacio, e questa terra che tocco e mi canta nelle mani;
e secoli di civiltà sotto i piedi .

La Sicilia non ha più un nome;
ma milioni di sordi e di muti,
sprofondati in un pozzo che io chiamo e non sentono,
e se allungo le braccia mi mordono le mani.

Chi cammina curvato piega la schiena,
se è un popolo, piega la storia.


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Un commento su “Una domenica con… Ignazio Buttitta

  • Calogero Parlapiano

    Ignazio Buttitta ha espresso in pochi ma significativi versi l’immagine reale e attuale della Sicilia che ha “figli sparsi per il mondo” e a cui “hanno rubato la lingua”. I dialetti sono l’immagine dell’esistenza di una comunità, la forma alta di un passato che cavalca l’onda del futuro.