Saccensi illustri: ACCURSIO MIRAGLIA


Dove vien meno l’interesse, vien meno anche la memoria” scriveva nel suo diario il grande letterato tedesco W.Goethe e per rinsaldare tanto l’interesse quanto la memoria che noi de L’AltraSciacca abbiamo deciso di ricordare e porre l’attenzione su Accursio Miraglia, figlio illustre di questa nostra città, e ribadire con forza il nostro NO alla Mafia ed a tutte le associazioni a delinquere in genere, fenomeni criminali, purtroppo, mai definitivamente debellati.

Accursio Miraglia naque a Sciacca, il 2 gennaio del 1896.

Nonostante la perdita in tenera età del padre e la famiglia avesse numerose bocche da sfamare, riuscì a completare gli studi ottenendo ottimi risultati. Iniziò ben presto a lavorare presso il Credito Italiano, prima a Catania e poi a Milano. Ma il suo amore per l’altro, in particolar modo per i più deboli e gli operai, la sua continua ricerca di giustizia ed uguaglianza, elementi presenti nel suo carattere fin dalla gioventù, erano mal visti in seno alla banca ed in generale in seno a quel mondo e venne licenziato.
Non gli rimase che tornare a Sciacca dove intraprese diverse attività, da quelle lavorative a quelle artistiche, fu infatti anche pittore, poeta e musicista, senza mai tralasciare l’impegno per il sociale e per il prossimo, testimoniato, per esempio, dall’impegno attivo al fianco di Padre Michele Arena nel restauro dell’orfanotrofio e nel sostentamento dei piccoli ospiti.

Si rese conto, però, che poteva fare di più attraverso le proprie idee e la propria grinta e decise di fare politica attivamente sostenendo il Comitato di Liberazione, lavorando alla nascita a livello provinciale e locale del PCI di cui fu dirigente e facendo sorgere a Sciacca la Camera del Lavoro, prima in tutta la Sicilia. Il suo lavoro di sindacalista riuscì a smuovere le coscienze di migliaia di lavoratori che in lui vedevano una guida sicura per rivendicare diritti e stipendi adeguati.

Un’altra delle sue vittorie fu la nascita il 5 novembre del 1944 della Cooperativa “Madre Terra” che ancora oggi risulta attiva, conta circa mille soci e duemila ettari di terreno coltivabile. L’idea era semplice e si basava, come sempre, sul rispetto delle leggi dello Stato: la consegna alle Cooperative dei terreni incolti dei latifondisti.

La lotta al fianco degli operai, dei contadini, dei più deboli, alla ricerca di eguali diritti per tutti, non poteva passare inosservata dalle cosche mafiose le quali avevano, invece, tutto l’interesse a far sì che lo stato di cose rimanesse immutabile. Così, dopo ripetute minacce ed avvertimenti, la sera del 4 gennaio 1947 venne brutalmente assassinato mentre tornava a casa. Sincera commozione si ebbe in tutta Italia.

I nomi dei suoi assassini erano già conosciuti all’epoca dei fatti ma gli imputati dell’omicidio vennero tutti prosciolti per insufficienza di prove, anche se negli ultimi anni nuove tesi e nuove documenti potrebbero presto fare riaprire il caso e rendere giustizia a chi per essa ha sacrificato la vita.
Morì a 51 anni, in piedi, perché non si era voluto piegare alla mafia e ai baroni latifondisti, perché non aveva voluto tradire i più deboli.

Ecco alcune delle sue frasi più significative:

Per la ripresa della nostra vita operativa è indispensabile rivolgersi alla terra e al mare, creature come l’uomo, di Dio”.
«Noi, organizzati, siamo un gruppo di fratelli. Se succede qualcosa, si ragiona».
«Io non impreco e non chiedo alcuna punizione. Io che ho tanto amato la vita, chiedo ad essa di vedere pentiti coloro che ci hanno fatto del male».

Ecco le parole del suo ultimo comizio tenuto a Sciacca:
« La forza dell’uomo civile è la legge, la forza del bruto e del mafioso è la violenza fisica e morale. Noi, malgrado quello che si sente dire di alcuni magistrati, abbiamo ancora fiducia nella sola legge degli uomini civili, che alla fine trionfa nello spirito dell’uomo che è capace di sentirne il “bene”. Temiamo, invece la violenza perché offende la nostra maniera di vedere e concepire le cose. Lungi dalla perfezione e dall’infallibilità, siamo però in buona fede, e non cerchiamo altro che la possibilità di ripresa della nostra gente e in altre parole di dare il nostro piccolo contributo all’emancipazione e alla dignità dell’uomo. È solo questo il filo conduttore che ci ispira e ci porta nel rischio. Non è colpa nostra se qualcuno non lo arriva a capire: non arrivi a capire, cioè, che ci sia, ogni tanto, qualcuno disposto anche a morire per gli altri, per la verità per la giustizia. Attento però a questo qualcuno che da sprovveduto e morto non diventi un simbolo molto ma molto più grande e pericoloso. »

Ed Ecco il suo motto:
«Meglio morire in piedi, che vivere in ginocchio


Informazioni su Redazione

Mi chiamo Calogero Parlapiano. Ho 24 anni, sono studente di Lettere all'Università di Palermo. Ho svariati interessi e diversi hobbies, adoro leggere e scrivere. E amo la mia città natale, Sciacca.

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